sabato 19 marzo 2011

IL VASO DI PANDORA

Pubblicato su www.giornaledelribelle.com



La catastrofe che ha devastato il Giappone non sta minando solo il dogma di fede dell'energia nucleare, non più vista, ormai, solo in chiave favolistica come soluzione universale di ogni problema energetico. Alle 14.45 di venerdì 11 marzo 2011, infatti, l'onnipotente uomo moderno ha riscoperto la sua immensa fragilità, sbattutagli in faccia con amorale freddezza da un terremoto e un'onda. Due eventi assolutamente normali e quasi insignificanti per la vita sulla terra che spazzano via in pochi secondi intere città, mettendo in ginocchio uno dei Paesi più avanzati al mondo, da sempre emblema di organizzazione, efficienza e tecnologia. Del presunto dominio umano sulla Natura.
Il simbolo insieme tragico e farsesco dell'impotenza di fronte a quanto accaduto è l'immagine di quegli elicotteri che, in un estremo e disperato tentativo di controllare un mostro creato dall'uomo, nella sua insipienza, e ormai scatenato, gettano acqua di mare sui tetri scheletri dei reattori di Fukushima sventrati dalle esplosioni. Come se si trattasse di un banale incendio di sterpaglie e non di una potenziale fuga radioattiva, con l'incubo di una contaminazione da plutonio. La morte di quei territori.
Nella letteratura greca si parla di hybris, l'arroganza contro gli Dei: una colpa grave che aveva come conseguenza la nemesis, la vendetta della divinità nei confronti degli arroganti, dei superbi che avevavo osato sfidare leggi immutabili. È quasi facile vedere tutto questo nell'ecatombe giapponese, come se vi fosse un destino in atto. Come se fosse stato lanciato un terribile messaggio. Insieme un avvertimento e una lezione alla nostra società, quella dell'homo oeconomicus, delle crescite illimitate, della produzione illimitata, del consumo illimitato. Il tutto in una realtà e in un mondo che hanno confini precisi, quelli fisici e temporali. Quelli della vita di ognuno di noi, che illimitata non è. Il corto circuito è evidente e immediato. Qui niente è infinito, a parte la follia di chi è convinto che ogni cosa esistente, a cominciare dalle persone, sia al servizio di un fantomatico sviluppo che, creato sulla pelle dell'ambiente in cui l'uomo vive, finisce per trasformarsi, ironico ossimoro, in autodistruzione.
La negazione di quel futuro tanto agognato, altra parola d'ordine dei nostri tempi, uno dei propulsori psicologici della nostra economia. Un tempo vago e lontano, che come i miraggi nel deserto scompare in un attimo all'avvicinarsi del viandante moribondo e assetato. Quasi una categoria mentale più che una dimensione temporale, una meta che non arriva mai e che sembra creata appositamente per giustificare e alimentare i deliri di crescite eterne. "Perché in questo modello di sviluppo basato sull'ossessiva proiezione nel futuro, invece che sulla ricerca dell'armonia in ciò che c'è già" scrive Massimo Fini ne Il vizio oscuro dell'occidente "l'uomo non può mai raggiungere un punto di equilibrio e di pace, ma colto un obbiettivo è costretto dall'inesorabile dinamismo del sistema a inseguirne un altro, in un'affannosa corsa priva di senso che ha termine solo con la morte dell'individuo. Come al cinodromo i cani levrieri, tra le bestie più stupide del Creato, battagliando e mordendosi l'un l'altro, inseguono la lepre di stoffa che non possono raggiungere, così è l'uomo oggi".
E mentre in Giappone il veleno radioattivo vomitato da ciò che resta del sito di Fukushima sta già contaminando cibo e acqua, minacciando di investire direttamente la capitale Tokio, impossibile da evacuare con i suoi 30 milioni di abitanti, il resto del mondo torna a riflettere, almeno così si dice. Sarebbe allora utile domandarsi, approfittando di questo momento di presunta onestà intellettuale, se valga la pena compromettere l'integrità di intere aree del pianeta e la salute di milioni di persone, per garantire la sopravvivenza di un modello economico trasformatosi, nel tempo, da strumento nelle mani degli uomini a fine ultimo dell'esistenza di questi, divenuti, a loro volta, mero ingranaggio di un'immensa macchina. Sarebbe bello discutere di questo. Chissà, magari alla prossima catastrofe.


Nessun commento: