domenica 6 dicembre 2009

RIPARTE IL CIRCO DEL NULLA

Wall Street - foto di Ramy Majouji


Tutto come prima, anzi, peggio. Non sono passati che pochi mesi da quando gruppi silenziosi di banchieri venivano immortalati dagli obiettivi di tutto il mondo mentre sciamavano mesti fuori dai propri uffici, con i celebri scatoloni di cartone tra le mani. Era l'alba del grande terremoto finanziario, la crisi che, partita dagli ormai noti mutui sub prime e dall'esplosione della bolla immobiliare, in poche settimane aveva messo in ginocchio le economie di tutto il mondo. Solo pochi mesi, ma sembra un secolo. Si è aperta una nuova età dell'oro, infatti, per i maghi delle borse.
"Si torna a scommettere, si torna a far festa, si torna a guadagnare un sacco di soldi" spiega Der Spiegel in un'inchiesta pubblicata su Internazionale del 4 dicembre "E tutto grazie ai miliardi immessi nei mercati dalle banche centrali e dai governi per arginare le conseguenze della crisi. [...] Finora le venti economie più grandi del mondo hanno stanziato 1.500 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti hanno speso di più con la formidabile cifra di 841 miliardi. L'Europa ha investito circa 600 miliardi". Un'enorme quantitativo di denaro immesso sul mercato per tamponare le falle, denaro che crea ulteriore debito pubblico e incatena sempre più gli Stati alle banche, che, in molti casi, hanno ripreso a speculare più di prima, forti della subalternità dei governi e della politica. Come exit stategy non c'è male.
E così, mentre negli Usa "ogni mese circa 300 mila persone perdono il lavoro" e in Gran Bretagna, scrive il quotidiano The Indipendent, "si sono raggiunti i livelli di ineguaglianza sociale dell'età vittoriana", dal versante dell'economia finanziaria giungono notizie di ben altro tenore: "Nel terzo trimestre del 2009" si legge ancora su Internazionale "la Goldman Sachs ha annunciato utili per 3,2 miliardi di dollari grazie a un volume di scambi raddoppiato rispetto allo stesso periodo del 2008. La JPMorgan Chase ha guadagnato 3,6 miliardi di dollari, la Morgan Stanley 760 milioni. [...] Quando va tutto bene, lo Stato non deve intervenire e i guadagni vanno ai banchieri. Ma se qualcosa va storto, tocca al contribuente pagare il conto". È il capitalismo, bellezza.
Non è un caso che, tra i Paesi occidentali, proprio gli Stati Uniti e il Regno Unito siano i più colpiti, dato che entrambi, già da due decadi, "hanno abbandonato l'industria manufatturiera e ora dipendono dalle banche". Una scelta tra realtà e finzione finanziaria. "Oggi la speculazione monetaria" prosegue Internazionale "è venti volte il volume degli scambi commerciali. [...] L'attività finanziaria è scollegata dalla realtà e ha la forza di distruggere la ricchezza di interi settori industriali, anzi, di interi Paesi".
Denaro che non corrisponde ad alcun bene o prodotto, ad alcun oggetto o servizio, e che esiste solo sotto forma di numero su un display o sullo schermo di un pc. "Al fenomeno della finanziarizzazione del denaro" scrive Massimo Fini nel suo Il denaro "sterco del demonio" "si accompagna quello della sua progressiva smaterializzazione. Il denaro perde i residui contatti con la materia in cui si era via via incarnato". Moneta virtuale per un'economia virtuale che domina una politica a sovranità virtuale. "[...] I governi non riescono a trovare un accordo per imporre regole più severe alle attività finanziarie," scrivono gli autori dell'inchiesta "anche se sanno che le banche d'affari rappresentano un rischio per la collettività. Lo Stato dovrebbe ridimensionarle, ma non ne ha il coraggio. Anzi, le ha appena salvate". E la triste mascherata continua.


lunedì 2 novembre 2009

TORNA IL GRANDE RUGBY. ROMA A RISCHIO?

L'italrugby si appresta ad affrontare le potenze ovali del sud nei test match autunnali


Arriva novembre, il mese dei test match per la nazionale italiana di rugby e c'è molta attesa per l'arrivo nel Belpaese delle potenze del sud. Gli All Blacks neozelandesi entreranno in campo il 14 a Milano, gli Springboks sudafricani il 21 a Udine e i giganti samoani il 28 ad Ascoli. Non è il primo confronto tra il nostro mondo ovale e quello ben più glorioso degli squadroni australi, ma a segnare una svolta è la location della sfida ai tuttineri. Per la prima volta, infatti, ad aprire le proprie porte al rugby sarà la Scala del calcio, lo stadio Giuseppe Meazza in San Siro.
Gli spalti che solitamente contemplano le gesta di Pato ed Eto'o, di Inzaghi e Milito, vedranno le imponenti sagome di Ali Williams e Sergio Parisse, Richie McCaw e Mirco Bergamasco. E il pubblico pare aver gradito il cambio della guardia, a dispetto degli scettici di qualche tempo fa, frettolosamente saltati sul carro dei vincitori a battaglia vinta . "Per l'esordio contro i neozelandesi" scrive Enrico Borra sulla rivista Rugby! di ottobre, "San Siro si appresta a registrare uno storico tutto esaurito e chiunque oggi si riempie la bocca con parole tipo prevedibile o, addirittura, scontato è un gran bugiardo. Solo qualche mese fa c'era ancora chi giudicava una pazzia la scelta [...] di portare la palla ovale alla Scala del calcio".
Sarà un evento senza precedenti, quindi, ma non dobbiamo dimenticare gli altri due importanti appuntamenti, con il Sudafrica campione del mondo in carica e Samoa, che ci precede nel ranking internazionale Irb, dominato proprio dagli Springboks. Gli azzurri sono infatti dodicesimi, mentre gli isolani occupano l'undicesima piazza. Sarà con queste due squadre, in special modo Samoa, che i ragazzi di coach Nick Mallett dovranno testare i propri miglioramenti. "Contro gli All Blacks sarà un grande show" aggiunge Borra "una splendida pubblicità per il nostro movimento e, comunque vada, un successo mediatico e d'immagine senza precedenti. Springboks e Samoa ci forniranno invece preziose indicazioni sullo stato di salute della nostra nazionale". Prove cruciali per l'italrugby, che porteranno allo stadio decine di migliaia di appassionali. Dopo il sold out di San Siro, infatti, è lecito attendersi il pienone anche al Friuli e al Del Duca.
Procede speditamente anche la prevendita per le gare interne azzurre del 6 Nazioni 2010 che, come da tradizione, si terranno allo stadio Flaminio di Roma. "La Federazione Italiana Rugby " si legge sul sito ufficiale della Fir "informa che, [...] sono stati venduti 19 mila biglietti per il match contro il XV della rosa" la gara con l'Inghilterra in programma il 14 febbraio "e 18 mila tagliandi per la sfida agli highlanders scozzesi" in programma il 27 febbraio "per un totale di 37 mila biglietti staccati a 5 mesi dall'undicesima edizione del torneo". Cifre lusinghiere cha lasciano facilmente pronosticare il tutto esaurito anche nella Capitale, ma ciò non toglie che si stiano addensando pesanti nubi sopra i sette colli.
Le tribune stracolme a San Siro e, probabilmente, al Friuli rilanciano la candidatura, da parte delle aree a più alto tasso di passione rugbystica del Paese, a ospitare il celebre championship. Specie di fronte a una Roma ovale che attende da tempo immemore l'adeguamento strutturale del Flaminio, ormai troppo piccolo rispetto alla richiesta di biglietti, e indebolita dalla recente bocciatura da parte della Federazione dei Praetorians, la selezione capitolina candidata all'ingresso in Celtic League, il campionato che vede affrontarsi squadre gallesi, scozzesi e irlandesi. "L'esclusione dei Pretoriani" in favore di Treviso "dalla corsa alla Celtic League" scrive ancora Enrico Borra su Rugby! "potrebbe, si vocifera, minare il già delicato rapporto tra Fir, Regione Lazio e Comune di Roma, con la conseguenza indiretta di far emigrare il Sei Nazioni dal Flaminio, attuale casa degli Azzurri di Mallett. [...] I lavori promessi ogni anno al Presidente Dondi dalle Istituzioni arrivano con il contagocce solo dopo le ormai tadizionali minacce di migrazione e ci sono almeno altre 4 piazze che farebbero follie per poter godere del privilegio di ospitare il torneo. [...] Certo, si perderebbe la Capitale, ma la convinzione è che un eventuale spostamento [...] sarebbe un danno più per Roma che per il nostro movimento".
Il concetto è molto chiaro: o si decide di puntare concretamente sul rugby a Roma, realizzando i lavori di ampliamento e adeguamento del Flaminio, o si lasci il 6 Nazioni a contesti più adeguati. Non è più accettabile infatti, che i tifosi in arrivo da mezza Europa per il torneo più antico e prestigioso di questo sport, debbano arrampicarsi su impalcature mobili in stile lavori condominiali. Questa soluzione delle curve-lego, montate ad hoc sopra le gradinate preesistenti per ottenere una manciata di posti in più, rischia di essere, oltre che insufficiente a far fronte alla domanda di biglietti, anche penosa. Servono lavori veri e strutture vere. Un impegno vero.

venerdì 2 ottobre 2009

FRENO D'EMERGENZA



Febbre alta


Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, in visita il 4 settembre scorso al centro scientifico di Ny-Aalesund al Polo nord, non aveva rinunciato a toni apocalittici per descrivere la velocità con cui i ghiacci artici si stanno sciogliendo. "Abbiamo il piede sull’acceleratore e ci stiamo dirigendo verso l’abisso. Abbiamo scatenato forze potenti e imprevedibili il cui impatto è già visibile. L’ho osservato con i miei occhi". Pochi giorni dopo da New York, il 23 settembre, in occasione della conferenza Onu sul clima, lo stesso Ban Ki-moon ha ribadito la propria preoccupazione rispetto al tema dell'ambiente, paragonando la minaccia del surriscaldamento del globo a una vera guerra.
Bisogna agire in fretta, ma fino a questo momento, però, le divergenze tra Nazioni più sviluppate ed economie in ascesa hanno impedito l'adozione di qualsiasi provvedimento. Le prime, infatti, imputano alle seconde le maggiori responsabilità per i disastri legati all'effetto serra, mentre le potenze emergenti rivendicano le stesse possibilità che, per due secoli, l'occidente ha avuto in materia di sviluppo incurante dell'ambiente. A meno di tre mesi dal summit di Copenhagen, che dovrà superare il protocollo di Kyoto del 1997, non c'è più tempo per i balletti.
"L'IPCC" (organo delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici) "dice che i Paesi industrializzati" scrive Mark Hertsgaard su L'Espresso del 2 ottobre "devono tagliare le emissioni dal 25 al 40% entro il 2020 se l'umanità vuole evitare le più catastrofiche conseguenze [...]. Lo studio del WBGU, invece," ( organo di consulenza sui temi ambientali del governo tedesco) "ci dice che gli Usa dovrebbero diminuire le emissioni del 100% entro il 2020." Altro che diminuzioni, quindi, secondo i tedeschi gli Stati Uniti dovrebbero azzerare l'inquinamento atmosferico entro i prossimi 10 anni. E non sarebbero soli in questa lotta improba contro se stessi. "La Germania, l'Italia e gli altri Paesi industrializzati" prosegue Hertsgaard "devono fare lo stesso tra il 2025 e il 2030. La Cina ha tempo solo fino al 2035 e il mondo intero deve liberarsi dalle emissioni di carbonio entro il 2050". In sintesi, le economie del mondo devono divenire a impatto zero entro i prossimi 10/20 anni se "l'umanità vuole evitare le più catastrofiche conseguenze del cambiamento climatico". L'unica via per evitare di cadere, riprendendo l'espressione di Ban Ki-Moon di fronte ai ghiacci non-più eterni, nell'"abisso".
Nei giorni in cui il segretario generale Onu esprimeva i propri timori sul futuro del pianeta, dall'Italia giungevano le sinistre immagini scattate da un robot, sceso nelle acque al largo della cittadina calabrese di Cetraro. Gli scatti riprendevano una nave piena di fusti simili a quelli usati per lo stoccaggio di rifiuti radioattivi tossici. Insieme alle foto, dalle acque emergeva una terribile realtà. "Si sospetta che decine di navi cariche di sostanze nocive" scrive Michael Leonardi sul giornale web americano Counterpunch, articolo ripreso dalla rivista Internazionale del 2 ottobre, "siano state affondate al largo di Italia, Spagna e Grecia, ma anche delle coste africane e asiatiche, dall'ecomafia internazionale guidata dalla 'ndrangheta calabrese". Nella zona di Cetraro sono moltissimi i casi di tumore alla tiroide e anche se non c'è certezza su cosa contengano quei misteriosi fusti in fondo al mare, la sola presenza della Cunski, questo il probabile nome del natante affondato in Calabria, conferma quanto detto dal pentito Francesco Fonti, che già nel 2005 "ha raccontato" aggiunge Leonardi "il suo coinvolgimento nell'affondamento di tre navi", tra cui la Cunski, appunto.
Uno scempio consumatosi lentamente, in decenni di silenzio e immobilismo. E ora si fanno largo anche terribili sospetti di connivenze. "Rimane una forte preoccupazione" scrive ancora Leonardi "per i legami dei politici italiani di ieri e oggi con l'ecomafia internazionale. [...] Francesco Fonti ha confessato che nel 1992, quando è stato coinvolto nell'affondamento di queste tre navi, aveva contatti con agenti del Sismi, il Servizio per le informazioni e la sicurezza militare". La classe politica italiana, quindi, non sarebbe stata in grado nè di impedire la sistematica distruzione dei propri ecosistemi marini, nè di garantire la salute di molti suoi cittadini, ammalatisi di cancro a causa dell'inquinamento da sostanze tossiche e radioattive. E l'Italia è tra i Paesi che dovranno, nei prossimi anni, tagliare drasticamente le emissioni di gas serra e puntare deciso sulle rinnovabili per evitare "l'abisso". Non c'è da stare molto allegri.
Confidiamo che le elites mondiali scelgano responsabilmente e agiscano per garantire un futuro alle generazioni che verranno, seguendo se non la propria coscienza almeno l'istinto di sopravvivenza.





martedì 1 settembre 2009

NEL CUORE D'EUROPA


Da Grindelwald a Budapest, dall'Eiger al Danubio, passando per Berna. Storia fotografica di una vacanza al centro del Vecchio Continente.





lunedì 6 luglio 2009

TESORO DA CUSTODIRE

Le Tre cime di Lavaredo, uno dei simboli delle Dolomiti, ora patrimonio dell'Unesco



L'umanità celebra le Dolomiti, ora bisognerà proteggere le Dolomiti dall'umanità. Lo scorso 26 giugno, in occasione del suo 33° congresso a Siviglia, l'Unesco, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura, ha inserito i Monti Pallidi nella lista delle meraviglie del mondo, le perle più preziose di Madre Natura. Un elenco che comprende non più di 199 siti sulla Terra e di cui, in Italia, solo le Isole Eolie fanno parte dal 2000. Un'area di 142 mila ettari , più altri 90 mila di zona cuscinetto esterna, divisi in 5 province. Si va da Bolzano a Udine, passando per Trento, Belluno e Pordenone, in un viaggio lungo 3 Regioni. Dopo la conquista e il riconoscimento, quindi, inizia il vero lavoro, quello di valorizzazione nella preservazione. Sviluppo e tutela per un territorio stupendo e fragile, un cristallo tanto prezioso quanto delicato.
"La pubblicità regalata dall'Unesco" scive Paolo Conti sul Corriere della Sera del 27 giugno "può diventare per paradosso uno strumento di distruzione se non si è virtuosi e non si sa gestire il territorio. Ovvero: più turisti, colate di cemento, deroghe ai piani regolatori in nome delle nuove necessità e dell'occupazione. Con un risultato già scritto: la cancellazione delle Dolomiti per aver deturpato un bene, e un panorama sfigurato per sempre, poiché l'edilizia incontrollata è purtroppo uno sfregio permanente". Tali abusi non produrrebbero solo la perdita della medaglia, ma soprattutto la morte del territorio e del candore di luoghi già ora preda di speculazione e turismo irrispettoso. L'Italia, sfortunatamente, non è un esempio di rettitudine in materia di salvaguardia delle proprie straordinarie peculiarità paesistiche. Dall'inquietante progetto relativo alla costruzione della tangenziale di Cortina D'Ampezzo, alle seconde e terze case che proliferano nelle località maggiormente in voga, raggiunte spesso dai vacanzieri con grosse auto invasive e inquinanti.
"Proibire i dannati suv" sostiene, sempre sulle colonne del Corriere, Mauro Corona, scrittore, scultore e alpinista che vive a Erto, paesino delle Dolomiti friulane. "Quando va a piedi, il turista si seleziona da solo per gradi di camminata. Deve arrivare in zona, ma quando è lì deve bloccare la macchina e buttare le chiavi nel torrente. Quando ritorni l'auto deve avere sopra un dito di polvere. E basta anche con gli impianti di risalita, non ne servono più". Non ha senso lo sviluppo se questo si crea sul cadavere dell'area e di chi vi abita. Tale crescita economica, infatti, sarebbe drammaticamente effimera dato che, una volta violata la purezza dei paesaggi, verrebbe meno anche l'attrattiva e, quindi, turismo e denaro. "Ho visto altre montagne del mondo" conclude Corona "ma queste sono misteriose, sono affettuose, fanno capire anche a chi viene da lontano che è parte di questo ambiente. Ti rilassano".
I timori che si verifichino gravi speculazioni ai danni dei Monti Pallidi sono fondati, specie se si considera l'altissimo numero di abusi edilizi sulle coste italiane, altro patrimonio del nostro Paese. "Due reati a chilometro lungo i 7.400 chilometri di costa", denunciano Legambiente e Goletta Verde attraverso il loro ultimo rapporto dal nome emblematico, Mare Monstrum. "Solo nel 2009, e siamo ancora a metà anno" scrive Michele Manno, citando il rapporto, sul Corriere della Sera del 27 giugno "si sono registrate 3.674 infrazioni e sono scattati 1.569 sequestri e 4.697 denunce. Tra le regioni che hanno il triste primato figurano la Campania (2.776 infrazioni accertate a vario titolo), la Sicilia (2.286), la Puglia (1.577) e la Calabria (1.435). [...] Stupisce la Sardegna, l'isola che dovrebbe essere un paradiso si piazza al quinto posto con ben 1.301 infrazioni accertate". Una triste prassi del Belpaese, quindi, quella della devastazione ambientale sistematica, che non lascia ben sperare per il destino della neo perla dell'Unesco.
Prima di disperare, però, attendiamo di vedere come procederanno gli Enti pubblici preposti nella gestione di quella che rimane una straordinaria opportunità e, soprattutto, quanto le popolazioni locali, che vivono le Dolomiti quotidianamente, vigileranno su quell'inestimabile tesoro che altri ammirano solo da lontano o si limitano a contemplare da turisti per qualche giorno. "[...] Le Dolomiti non sono comparabili con alcuna altra montagna al mondo" esulta Reinhold Messner, alpinista ed esploratore. "Mi auguro che possano essere viste con nuovi occhi, come forma del Creato, come immensa ricchezza per tutti e non come pura attrazione da cartolina, per attirare solo un turismo di massa".
L'obiettivo è quello di interpretare al meglio la vetrina offerta dall'Unesco, non per promuovere semplicemente un prodotto, ma per educare le persone alla bellezza metafisica dei Monti Pallidi. Aulici ed eterei. Unici al mondo.

venerdì 12 giugno 2009

IL TEMPO NON È DENARO

Una meridiana, antico strumento di misurazione del tempo


La crisi continua a gravare sulle economie di tutto il mondo nonostante rassicurazioni e campagne anti-panico a profusione da parte dei governi, ma potrebbe anche rivelarsi un'occasione utile per riconsiderare il nostro stile di vita, riscoprendo un bene tanto prezioso quanto irrecuperabile una volta perduto: il tempo. Spogliato del superfluo, infatti, il cittadino diviene meno risorsa umana e più essere umano, recuperando spazi per sè e per le poche cose realmente importanti. Il mutamento è in corso e sta già incidendo nella società. Una piccola rivoluzione teorico-pratica che mira a trasformare le nostre esistenze, esortandoci a vivere per vivere e non per consumare.
"È chiaro che la posta in gioco non è solamente la ripresa economica" dice il sociologo spagnolo Manuel Castells alla rivista Internazionale del 5 giugno "ma la trasformazione del nostro modello socioeconomico. Non dobbiamo solo passare a un'economia della conoscenza, bisogna anche sottrarre alle regole del mercato una parte della vita quotidiana. [...] Lavorando meno e guadagnando meno, ma godendo di più delle cose belle della vita grazie alla nuova ricchezza di tempo disponibile".
Non un'utopia, ma una speranza che si fa realtà e il passaggio è più facile di quanto si possa immaginare. Il cambiamento avviene in via del tutto informale e spontanea, di là da qualsiasi legge dello Stato. Dal basso, si direbbe.
"Un italiano su tre ha già scambiato gratis il proprio tempo" scrive Vera Schiavazzi su La Repubblica del 9 giugno "e soprattutto le proprie capacità, con qualcun altro, e uno su due vorrebbe farlo. Nell'indagine promossa proprio dall'osservatorio nazionale delle Banche del Tempo c'è tutto il senso di un'esperienza che si diffonde a mano a mano che la crisi soffoca il mecato di tutto ciò che non è indispensabile". Imparare l'inglese in cambio di lavori di giardinaggio o piccola carpenteria, lezioni di yoga gratis a chi terrà nel mese di luglio l'amato boxer del proprio insegnante, oppure piatti prelibati in cambio di passaggi in auto. L'economia in bolletta stimola la fantasia, con la conseguente sostituzione del denaro, merce sempre più rara per molti, con altri strumenti di valutazione della ricchezza. "Il fenomeno delle scambio libero" prosegue l'articolo "soprattutto quello tra beni che è difficile misurare e che deve basarsi sulle relazioni personali, è la prova dell'incapacità dell'economia monetaria di risolvere da sola i suoi problemi. [...] Quando arriva la crisi io non compro più da te ciò che vorrei perchè ho troppa paura di restare senza denaro" sintetizza l'antropologo americano Mark Anspach "e di non poter più pagare le cose essenziali".
La soluzione diviene, allora, questa nuova forma di baratto, slegata da qualsiasi attribuzione di valore monetario ai beni che si scambiano, ma caratterizzata dalla conoscenza e dalla capacità dei soggetti di svolgere determinati compiti. Dal Patchwork des Savoirs francese al Neighbourhood time bank inglese, stanno nascendo reti per tutti quei beni "che non si possono pagare un tanto al chilo e per il costo dei quali ci siamo spesso lamentati" scrive ancora la Schiavazzi.
Utilizzando meno il denaro per ottenere beni o servizi di cui abbiamo bisogno, si risparmia non solo carta moneta, in un periodo di penuria della stessa, ma tempo. E si guadagna in relazioni interpersonali e possibilità di impiegare parti sempre più consistenti delle nostre giornate in attività maggiormente piacevoli e appaganti. "Prendendosi cura del proprio corpo anzichè comprare medicine" dice ancora Manuel Castells "scambiando musica e film in rete invece di pagare canoni medievali ai monopoli corporativi, e riscoprendo il piacere di una passeggiata al sole, e pazienza se arriviamo tardi". La rivoluzione del tempo evidenzia come l'uomo venga prima e vada oltre l'economia di mercato e ogni concezione utilitarista della vita. Come le ragioni delle persone possano aggirare le imposizioni del denaro.
"La verità è che non abbiamo molte alternative" conclude Castells "Bisognerà imparare a conciliare gli ultimi rantoli di una vecchia economia irragionevole, gli albori di una nuova economia dell'innovazione e l'espansione di un terzo settore in cui, invece di vivere per pagare il consumo, vivremo direttamente la nostra vita, senza intermediazione monetaria".
Il crack finanziario internazionale che ha fatto deflagrare le contraddizioni di un'economia fatua e slegata dalla realtà ha aperto, però, anche nuovi scenari e opportunità di rinnovamento. Possiamo scegliere se riedificare il gigante dai piedi d'argilla così com'era prima della tempesta perfetta dei subprime, oppure mutare strada, ponendo al centro della nostra vita la vita stessa e comprendendo che il denaro è uno strumento nelle mani dell'uomo e non il fine della sua esistenza.

venerdì 22 maggio 2009

CREARE UN FUTURO SOSTENIBILE



I cambiamenti climatici in atto, figli di problematiche ambientali sempre più pressanti, stanno imponendo alle nazioni di tutto il mondo una riflessione profonda sul futuro stesso delle nostre società, prima ancora che su quello della fredda economia. Molti Paesi hanno perciò scelto di cambiare strategie di sviluppo abbandonando la via del mero sfruttamento delle risorse, per affrontare la sfida delle energie rinnovabili.
In Europa, un autentico modello di intraprendenza in materia di rispetto per l'ambiente è l'Austria, che nel 2006 ha ricavato il 63% della sua elettricità da fonti rinnovabili a fronte di una media europea che si attesta al 14,65%, ma non dobbiamo dimenticare i Paesi scandinavi storicamente virtuosi. Molti non sapranno tuttavia, che nella lista dei Paesi più impegnati nello sviluppo sostenibile c'è il Portogallo, una delle aree più economicamente arretrate del continente, fino a oggi.
"Nel 2006 il Portogallo ha ricavato da fonti rinnovabili il 30% dell'energia elettrica consumata" scrive Peter Wise sul Financial Times, articolo ripreso dalla rivista Internazionale del 22 maggio "L'obiettivo per il 2010 è arrivare al 39%". Un obiettivo non proibitivo considerati gli sforzi che sono stati fatti dai lusitani per sviluppare eolico, fotovoltaico, idroelettrico e biogas. 120 turbine eoliche nella regione settentrionale dell'Alto Minho in pochi anni hanno trasformato quell'area depressa in una realtà all'avanguardia della green revolution. "Oggi l'Alto Minho" prosegue Wise "è sede della più grande centrale eolica sulla terraferma d'Europa, e partecipa a un piano per trasformare uno dei paesi più poveri del continente in un leader mondiale dell'energia rinnovabile".
Il Portogallo è privo di risorse energetiche primarie ma dispone di tre grandi ricchezze: il vento, il sole e l'oceano. Un potenziale immenso per anni rimasto inespresso. Negli ultimi tempi, però, tutto è cambiato, anche le ambizioni. "Entro il 2020" aggiunge Internazionale "più del 60% dell'elettricità e circa il 31% dell'energia prodotta nel paese, arriverà da fonti rinnovabili. L'obiettivo dell'Ue nello stesso arco di tempo è del 20. [...] gli Usa arriveranno a ricavare il 12% della loro energia da fonti pulite quando il Portogallo sarà già oltre il 50". Non solo eolico, però. Andando a sud-est di Lisbona, infatti, troviamo la cittadina di Amareleja dove si registrano le temperature più alte del Paese, un luogo in cui il sole e onnipresente e dove 2.520 pannelli solari della grandezza di un appartamento si nutrono di luce. Senza trascurare, infine, la forza dell'oceano che dona ai lusitani l'ulteriore opportunità di produrre energia pulita dalle onde.
Green economy, tuttavia, non vuol dire solo rispetto per l'ambiente e per il futuro dei nostri figli, ma, nell'immediato, soprattutto posti di lavoro in tempi di crisi mondiale. "Negli ultimi 4 anni il Portogallo" si legge su Internazionale "ha creato 10mila posti di lavoro nel settore dell'energia pulita e altri 22 mila dovrebbero aggiungersi nei prossimi 12 anni, grazie a un investimento programmato di 14 miliardi di euro". Puntare sulle rinnovabili paga, quindi, e ad incassare sono i cittadini delle aree interessate dagli investimenti, come quelli dell'Alto Minho riconvertito all'eolico, le cui amministrazioni locali hanno visto raddoppiare i proventi degli affitti che le aziende energetiche corrispondono per i terreni utilizzati, ricavi che gli stessi enti pubblici investono nel territorio sotto forma di restauri, nuove infrastrutture e opere per la collettività. "In una regione sperduta" conclude Wise "ancora imbevuta dello spirito di un passato antico, le turbine che si stagliano nella nebbia sulle cime delle montagne dell'Alto Minho sono simboli di futuro".
E l'Italia? Purtroppo lo stivale resta indietro in questo settore, avendo prodotto nel 2006 solo il 14,82% dell'elettricità consumata da fonti rinnovabili. nel 2010 tale percentuale dovrebbe salire al 25, ma non sarà così, e poco consola che tali numeri rientrino nella media europea. In più il Belpaese ha fatto una scelta ben precisa, quella nucleare, siglando, come sappiamo, l'accordo con la Francia per la costruzione di 4 centrali nei prossimi anni. Siamo agli antipodi rispetto al Portogallo e all'idea di green revolution. Una decisione controversa, che molti giudicano "di retroguardia" come, l'economista americano e premio Nobel Jeremy Rifkin. Risolvere la crisi ambientale ed energetica con il nucleare, infatti, è "Come curare malattie nuovissime con la penicillina" dice Rifkin in un'intervista rilasciata a La Repubblica nel giugno 2008, ben prima, quindi, del patto Berlusconi-Sarkozy.
"Oggi sono in funzione nel mondo 439 centrali nucleari" prosegue Rifkin "e producono circa il 5% dell'energia totale. Nei prossimi 20 anni molte di queste centrali andranno rimpiazzate. E nessuno dei top manager del settore energetico crede che lo saranno in una misura maggiore della metà. Ma anche se lo fossero tutte si tratterebbe di un risparmio del 5%. Ora, per avere un qualche impatto nel ridurre il riscaldamento del pianeta, si dovrebbe ridurre del 20% il Co2, un risultato che certo non può venire da qui". Il nucleare quindi non riduce le emissioni e non risolve il problema dello sfruttamento delle risorse, dato che l'uranio, come il petrolio, prima o poi comincerà a scarseggiare. Poi c'è il problema scorie, difficilissime da smaltire: "Gli Stati Uniti hanno straordinari scienziati" dice ancora il Nobel "e hanno investito 8 miliardi di dollari in 18 anni per stoccare i residui all'interno delle montagne Yucca dove avrebbero dovuto restare al sicuro per quasi 10 mila anni. Bene, hanno già cominciato a contaminare l'area nonostante i calcoli, i fondi e i super-ingegneri. Davvero l'Italia crede di poter far meglio di noi? L'esperienza di Napoli non autorizza troppo ottimismo. E questa volta i rifiuti sarebbero nucleari, con conseguenze inimmaginabili".
Ricapitolando: niente riduzione delle emissioni, niente risparmio energetico, incubo ecoballe radioattive. Ma non è finita, rimane la questione acqua: "Non c'è abbastanza acqua nel mondo per gestire impianti nucleari. Temo che non sia noto a tutti che circa il 40% dell'acqua potabile francese serve a raffreddare i reattori. L'estate di alcuni anni fa, quando molti anziani morirono per il caldo, uno dei danni collaterali che passarono sotto silenzio fu che scarseggiò l'acqua per raffreddare gli impianti. Come conseguenza fu ridotta l'erogazione di energia elettrica. E morirono ancora più anziani per mancanza di aria condizionata".
La soluzione, quindi, non può che essere ciò che Rifkin chiama "La terza rivoluzione industriale", un sistema in cui ognuno autoproduca energia per scambiarla con gli altri attraverso reti intelligenti. "Bisogna cominciare a costruire abitazioni che abbiano al loro interno le tecnologie per produrre energie rinnovabili, come il fotovoltaico. Non è un'opzione, ma un obbligo comunitario. Poi serviranno batterie a idrogeno per immagazzinare questa energia. E una rete intelligente per distribuirla". Un cammino difficile che, però, altri Paesi hanno deciso di percorrere. Una via che anche l'Italia, volendolo, potrebbe intraprendere. Conclude Rifkin: " Voi (l'Italia) siete messi meglio di tutti: avete il sole dappertutto, il vento in molte località, in Toscana c'è anche il geotermico, in Trentino si possono sfruttare le biomasse. Eppure, con tutto questo ben di Dio, siete indietro rispetto a Germania, Scandinavia e Spagna per quel che riguarda le rinnovabili".
Potremmo, quindi, dovremmo, ma non lo facciamo. Abbiamo deciso diversamente rispetto al Portogallo e ad altre Nazioni virtuose e coraggiose, rinunciando in modo miope e autolesionistico a porre le basi per un futuro sostenibile, davvero. I nostri figli ringrazieranno.

sabato 25 aprile 2009

TERZO MILLENNIO "INDIGENO"



La Cina riscopre se stessa, avanza guardandosi indietro. Dopo decadi di oblio ideologico ritorna infatti in auge Kong FuZi, il saggio Confucio, filosofo cinese il cui pensiero diede origine ad un'intera cultura che influenzò costumi e storia di varie Nazioni asiatiche, il confucianesimo appunto. Prima osteggiato poi combattuto e cancellato dalla rivoluzione culturale maoista con il placet delle elites dell'epoca, ora risorge proprio nel momento in cui sembra tramontare l'Era della supremazia culturale occidentale, in profonda crisi assieme al suo modello di sviluppo economico e sociale.
"La recessione dimostra che gli Stati Uniti non possono più offrire al mondo una leadership adeguata", scrive Federico Rampini su Repubblica del 15 aprile riferendosi alle parole di Wang Xiaodong, uno degli autori del saggio La Cina scontenta, best-seller e autentico fenomeno editoriale, specialmente tra gli sponenti del ceto medio cinese. "Oggi l'ideologia su cui poggia il neo-espansionismo cinese non è più rivoluzionaria, sovversiva e antagonista. Al posto di Mao c'è Confucio, il filosofo vissuto dal 551 al 479 avanti Cristo, che la classe dirigente cinese rivaluta come il guardiano dell'ordine sociale e della stabilità". Le ragioni di questo mutamento sono da attribuire alla morte delle grandi ideologie novecentesche, il cui vuoto è stato colmato dalla riscoperta, da parte dei popoli, delle proprie tradizioni, ciò che Samuel Huntington, nel celebre e controverso libro Lo scontro delle civiltà, definì indigenizzazione delle culture:
"Indigenizzazione è stata la parola d'ordine in tutto il mondo non occidentale negli anni ottanta e novanta", scrive Huntington in un passaggio del suo saggio "La rinascita dell'Islam e la re-islamizzazione sono temi centrali nelle società musulmane. In India la tendenza prevalente è il rifiuto degli usi e costumi occidentali e l'induizzazione della politica e della società. In Asia orientale i governi promuovono il confucianesimo e i leader politici e intellettuali parlano di asianizzare i propri Paesi. A metà anni ottanta il Giappone fu ossessionato dal Nihonjinron, o teoria del Giappone e del giapponese. [...] Con la fine della Guerra Fredda la Russia è tornata a essere un Paese in bilico, con il riemergere del classico scontro tra occidentalisti e slavofili". L'indigenizzazione, inoltre, non pare essersi fermata negli anni novanta, considerato che, oltre alla già citata Cina con Confucio e all'avanzata in America latina di leader che fanno esplicito riferimento alle peculiarità culturali e storiche dei propri Stati, come Chavez e Morales, in Russia, per fare un nuovo esempio, il putinismo ha contribuito al rilancio del nazionalismo, anche in economia, e della religione cristiano-ortodossa, ora ben più seguita che in passato.
Già, le religioni. Le grandi vittime della prima metà del XX secolo, quando, come scrive ancora Huntington "le elites intellettuali hanno di norma creduto che la modernizzazione economica e sociale dovesse portare alla scomparsa della religione come elemento significativo dell'esistenza umana", si sono prese la propria rivincita, la Revanche de Dieu che, aggiunge l'autore nel suo saggio "ha significato il ritorno e il rinvigorimento delle religioni tradizionali delle rispettive comunità, nonchè l'attribuzione ad esse di nuovi significati". Un processo di relativizzazione politico-culturale quindi, avviatosi parallelamente alla sconfitta di quei grandi capisaldi ideologici che avevano caratterizzato il mondo, che porta l'occidente ora a perdere terreno laddove, prima, aveva una forte influenza, come in oriente.
"Ora la Cina ha acquistato nuova coscienza di sè" fa notare Rampini "e rimette in discussione la validità delle pretese occidentali. È una società segnata dal confucianesimo, dove il gruppo conta più dell'individuo, dove le relazioni sociali sono organiche, strutturate sull'obbedienza gerarchica e sul perseguimento di obiettivi collettivi. Questo tipo di società" aggiunge Rampini "va governata come una famiglia, con il rispetto dell'autorità paterna, e d'altra parte carica sul paterfamilias la responsabilità di garantire il benessere dei propri familiari". Niente più complessi di inferiorità, quindi, una nuova rivoluzione culturale è in atto da tempo e non solo nella Repubblica Popolare. L'attuale crisi economica, poi, unitamente alle difficoltà che l'occidente sta incontrando nell'esportare la democrazia, stanno spingendo verso ulteriori cambiamenti.
"Voi occidentali definite la Democrazia secondo il principio che ogni cittadino debba avere il diritto al voto" disse Zhang Weiwei al Marshall forum di Monaco di Baviera, in un passaggio citato dall'articolo di Repubblica "e nel suffragio universale diversi partiti devono competere per l'alternanza al governo. Fino ad oggi è impossibile trovare un solo caso di un Paese emergente che sia riuscito a modernizzarsi con successo dopo aver adottato questo modello di democrazia. Che cosa succederebbe oggi in Cina se adottassimo una democrazia del vostro tipo? Ammesso che il Paese non sprofondi nella guerra civile potremmo eleggere un governo di contadini, visto che questi sono la stragrande maggioranza della popolazione? Non ho nulla contro di loro" conclude Zhang "ma è chiaro che non sarebbero capaci di guidarci nella modernizzazione". Un progresso che non passa più nè dall'imposizione di modelli importati da altrove, nè dall'assenza di punti di riferimento riconducibili alla propria storia o cultura.
Paradossalmente nell'epoca della globalizzazione economica, che riserva dispiaceri a loro volta globali, si assiste alla localizzazione politica e storico-culturale. Il mondo di domani sembrerebbe destinato ad essere un pò più piccolo e antico, in un'idea di futuro come prosecuzione del passato, senza cesure. "Sarebbe quasi fanciullesco" fa osservare Fernand Braudel "pensare che la modernizzazione metta fine alla pluralità di culture storiche incarnate per secoli nelle grandi civiltà del pianeta. Al contrario" conclude "la modernizzazione rafforza tali culture e riduce il potere relativo dell'occidente. Sotto molti importanti aspetti, il mondo sta diventando più moderno e meno occidentale".
Sta ai leader mondiali in generale e occidentali in particolare, decidere ora se tale processo debba o meno sfociare in quello scontro di civiltà che nessuno auspica.


sabato 7 marzo 2009

DIAMOCI UN TAGLIO

Un operatore di borsa ( foto da media.panorama.it)


La Banca Centrale Europea ha rivisto ulteriormente al ribasso il costo del denaro, portandolo dal 2% all' 1,50%, nel tentativo di contrastare il "grave rallentamento dell'attività economica, sia a livello globale sia nell'area euro, che ha trovato conferme nei dati delle indagini preliminari dei primi mesi del 2009", come si legge su Repubblica.it. Scorrendo le pagine dei quotidiani di questi giorni non c'è da stare allegri e i dati che giungono da Usa ed Europa non spingono certo a lanciarsi in rosei voli pindarici sul futuro.
L'economia Usa è sull'orlo del collasso e lo stesso presidente Obama ha parlato di "dati atroci". Come dargli torto, dopotutto? "Solo a febbraio c'è stata una perdita di 651.000 posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione è salito all'8,1%, ai massimi da 25 anni" scrive il sito web si Repubblica "e la General Motors affonda in Borsa dove cede quasi il 20% sulla scia delle indiscrezioni che prefigurano una possibile bancarotta".
E da noi? Tra un Venerdì nero e l'altro le previsioni sul Pil di eurolandia sono drammatiche: "la Bce prevede ora che la flessione sarà quest’anno mediamente del 2,7% (-3,2/-2,2%)," aggiunge l'articolo "quando solo nel dicembre scorso stimava un -0,5%. Nell’ultimo trimestre del 2008 il Pil dei Sedici è calato dell’1,5%: il peggior risultato dal 1995. Per il 2010 si immagina, a questo punto, una crescita zero (tra meno 0,7 e più 0,7%)".
Consumi e produzione crollano, quindi, insieme alla fiducia delle Borse i cui valori vanno in picchiata ad ogni tentativo, da parte di governi e organismi internazionali, di riprendere per i capelli la crisi. Il mega piano infrastrutturale made in Berlusconi è stato accolto a braccia aperte da Piazza Affari, con una debacle che ha sfiorato il -5%, proprio mentre dall'Inghilterra arrivava la notizia dell'ennesima nazionalizzazione nel settore bancario. Dopo Northern Rock, Bradford & Bingley e Royal Bank Of Scotland, infatti, ora è la volta di Lloyds Tsb, passata dal 43 al 65% di controllo pubblico.
La crisi che sta scuotendo le nostre società, oltre che far riflettere sulle nefandezze di un capitalismo cannibale e privo di umanità, prima che di regole, deve dare una spinta verso il rinnovamento, puntando sull'ambiente e su un'economia sostenibile. "Dobbiamo puntare su soluzioni di lungo periodo" scrive Leo Hickman sul Guardian, ripreso dalla rivista Internazionale nell'articolo Solo l'ambientalismo potrà salvarci "e dobbiamo smettere di inseguire profitti e obiettivi di breve termine, che causano soprattutto danni". Sviluppando le tecnologie pulite infatti, si possono creare milioni di posti di lavoro e salvare contemporaneamente il futuro del pianeta e quello dei nostri figli. "Tanti piccoli cambiamenti sono già in atto" prosegue l'articolo "Sempre più persone decidono di usare la bicicletta o i mezzi di trasporto pubblici, e molti hanno iniziato a comprare meno cose".
Ma soprattutto, scrive Hickman, si sta diffondendo l'abitudine di coltivare un orto in casa. "La domanda di terreni coltivabili è cresciuta a tal punto in Gran Bretagna che la National Trust, l'ente che gestisce alcuni immobili e le proprietà fondiarie più importanti ha annunciato un'importante novità: permetterà ai cittadini di coltivare ortaggi e verdure su alcune delle sue proprietà". Di questi tempi, a quanto pare, è meglio avere in casa dei pomodori piuttosto che l'equivalente in denaro per acquistarli. D'altra parte il denaro non si mangia...

lunedì 16 febbraio 2009

STATO DI INSOLVENZA

Sceriffo Usa in una casa pignorata,
la foto di Anthony Suau vincitrice del
World Press Photo Award 2009. Emblema dei nostri tempi. ( Foto Ap)


La crisi globale non accenna ad allentare la propria morsa sulle economie di tutto il mondo e le imponenti somme messe a disposizione dai governi per soccorrere le banche sono già andate in fumo. Ora, come se non fossero trascorsi diversi mesi dalla deflagrazione dell'emergenza, urgono nuovi interventi per i bailouts, i salvataggi degli istituti di credito. Questo vuol dire che lo Stato libera le banche facendosi carico con soldi pubblici dei rischi assunti in precedenza da queste. "Nessuno però sa" si legge su Internazionale del 13 febbraio "quanto sia alto il prezzo da pagare e se alla fine lo Stato sarà davvero in grado di pagarlo". Il problema, infatti, è che le somme che i contribuenti di tutto il mondo dovranno sborsare sono gigantesche, nell'ordine di migliaia di miliardi e comincia a serpeggiare la plumbea prospettiva di veri e propri fallimenti per le Nazioni.
In poche parole servono montagne di denaro per rimettere in piedi non solo le banche ma anche l'economia reale, soldi che dovranno essere trovati dai governi, molti dei quali, però, devono fare i conti già ora con debiti cospicui. "Anche gli Stati possono fallire" prosegue l'articolo tratto da Der Spiegel "per esempio quando hanno debiti così alti da non riuscire a pagare gli interessi. Ma se anche lo Stato andrà in crisi, chi lo salverà? Se nessuno sarà più disposto a fargli credito, sarà costretto a fallire".
E non sono solo gli Usa a patire questa situazione, anche la Gran Bretagna, con un settore immobiliare al collasso, famiglie pesantemente indebitate e mondo finanziario impossibilitato a riprendersi. Per non parlare dei Pigs, in inglese porci, come causticamente venivano definiti proprio oltremanica i Paesi latini dai bilanci dissestati: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. Poker a cui deve aggiungersi l'Irlanda, altra Nazione coinvolta drammaticamente nella crisi. Proprio il Belpaese, però, sembra in grande difficolta: "A dicembre" continua Internazionale "il ministro del lavoro Maurizio Sacconi ha messo in guardia dal pericolo di una completa bancarotta dello Stato se i Btp" i buoni del Tesoro "restassero invenduti. 'Ci potrebbero essere problemi nel pagamento di stipendi e pensioni, e finiremmo come l'Argentina" le inquietanti parole del ministro.
Debiti in ascesa ed economie in picchiata, quindi, con lo spettro di un'uscita dalla moneta unica da parte dei Paesi più indebitati, prospettiva per ora fortemente respinta da Bruxelles. Per ora: "Prendiamo per esempio la Grecia" si legge ancora nell'articolo tratto da Der Spiegel "che nei prossimi due anni ha bisogno di 48 miliardi per saldare i vecchi debiti e nel frattempo deve tappare nuovi buchi di bilancio. Se si dichiarasse insolvente, eviterebbe conseguenze peggiori grazie all'appartenenza alla zona euro. La moneta unica si svaluterebbe un pò, ma dal momento che l'economia greca non ha una grande valenza in Europa, le ripercussioni sarebbero contenute. Anche le conseguenze per la Grecia sarebbero limitate: grazie all'euro, che comunque è una valuta forte [...] non ci sarebbero ripercussioni sull'economia reale, nè aumenti della disoccupazione".
Il problema, a quel punto, sarebbe però l'effetto domino su tutti gli altri Paesi in difficoltà, che opterebbero in massa per la soluzione-greca. "La moneta unica può reggere la bancarotta di uno Stato" conclude Internazionale "ma non una serie di fallimenti". Sarebbe la fine dell'euro, e con esso dell'Europa come la conosciamo ora.

domenica 18 gennaio 2009

ISRAELE TRA CONFLITTO E DEMOGRAFIA

La mappa dell'area mediorientale ( dal sito www.itongadol.com)



Il goveno di Israele, nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2009 ha ordinato un cessate il fuoco unilaterale facendo tacere le armi dopo 22 giorni di offensiva militare nella Striscia di Gaza, per l'operazione denominata "Piombo fuso". Non è dato sapere se tale tregua sarà duratura o meno, ma appare necessario, ora, tracciare una linea e analizzare la situazione creatasi sul campo per poter tornare quantomeno a sperare nella ripresa di un processo di pace tra israeliani e palestinesi.
I numeri di queste tre settimane di guerra non possono lasciare indifferenti e anche se non è possibile quantificare il dolore, la lettura dei dati non può non essere il punto di partenza per qualsiasi ragionamento su quanto accaduto a Gaza e sul futuro della Terra Santa. "L'offensiva ha causato 1.203 morti palestinesi di cui 410 bambini e 108 donne, stimano i medici nella Striscia" scrive Davide Frattini sul Correre della Sera del 18 gennaio "I feriti sarebbero 5.300 di cui 1.630 bambini". Nessuno può dimenticare, però, i 13 morti sul fronte israeliano, di cui tre civili e, soprattutto, le migliaia di razzi lanciati dal movimento estremista Hamas nel sud dello Stato ebraico, una minaccia costante sulle città immediatamente a ridosso del confine.
Un'eredità pesantissima quella lasciata dall'ennesimo conflitto esploso nell'area mediorientale, un avvenimento che presenta molteplici chiavi di lettura. "L'offensiva a Gaza può danneggiare Hamas e ridurre la sua capacità di colpire il sud di Israele" scrive Tim McGirk del Time, articolo ripreso dalla rivista Internazionale "Ma, come è successo nel 2006 con Hezbollah, l'uso della forza non sarà sufficiente contro il fanatismo ideologico dei militanti islamici. Il sentimento di rabbia nei confronti degli israeliani che si sta diffondendo nella regione rende più difficile per i Paesi arabi unirsi a Israele nel tentativo di affrontare l'Iran, che finanzia e protegge sia Hamas che Hezbollah". L'operazione "Piombo fuso" può presentare quindi diversi lati negativi, dai costi economici elevati che inevitabilmente un conflitto porta con sè, alle perdite civili palestinesi, il cui alto numero rischia di danneggiare l'immagine di Tel Aviv nel mondo e di oscurare le responsabilità di Hamas.
Ma Israele, paradossalmente, può sbagliare anche fermandosi e trattando con il movimento palestinese che, a tregua acquisita, avrebbe l'opportunità di gridare alla vittoria come fece Hezbollah nel 2006. "Hamas sostiene che accetterà una tregua" prosegue McGirk "solo se Israele si ritirerà da Gaza allentando il blocco economico che strangola un milione e mezzo di palestinesi. [...]. Dopo settimane di indignazione per la catastrofe umanitaria di Gaza, qualsiasi mediatore insisterà per convincere Israele a mettere fine all'embargo, che dura ormai da diciotto mesi. E poi?. Come fece Hezbollah, anche Hamas dichiarerà di aver vinto. Non solo perchè sarà sopravvissuto a un attacco di una potenza militare molto più forte, ma anche perchè avrà liberato gli abitanti di Gaza". La guerra nella Striscia, quindi, secondo il giudizio di McGirk, avrebbe indebolito sia lo Stato ebraico sia gli alleati arabi moderati, divisi al proprio interno dopo i moti di piazza in favore della causa palestinese.
Senza dimenticare le problematiche interne ad Israele, ovvero il trend demografico che potrebbe portare cambiamenti strutturali nella società. "Oggi, tra 7,1 milioni di abitanti in Israele" sottolinea ancora McGirk "ci sono 5,4 milioni di ebrei e 1,6 milioni di arabi. Ma se si considerano anche quelli di Gaza e della Cisgiordania , gli arabi sono già in leggera maggioranza e, dato che il loro tasso di natalità è piuttosto alto, lo scarto aumenterà rapidamente". Diventare minoranza etnico-religiosa a casa propria, quindi, è il rischio che incomberebbe sugli ebrei di Israele se questi non rinunceranno a Gaza e alla Cisgiordania, un concetto ripreso recentemente dallo stesso Ehud Olmert, primo ministro israeliano uscente: "Se vogliamo manterene il carattere ebraico e democratico dello Stato di Israele" dice Olmert "dobbiamo inevitabilmente rinunciare, con grande dolore, ad alcune zone della nostra Patria".
La soluzione ideale, come noto, sarebbe la creazione di uno Stato palestinese al fianco di quello israeliano, con confini riconosciuti dalla Comunità Internazionale. Ma permangono dubbi su come realizzare questo proposito. "I leader israeliani" conclude McGirk "devono riconoscere che se Hamas non può essere battuto militarmente, dev'essere coinvolto a livello politico. Questo significa accettare l'idea di trattare con una sorta di governo di unità palestinese. [...] Un'alleanza tra Abu Mazen e Hamas è essenziale per il futuro dello Stato palestinese. Alla fine Israele dovrà ritirarsi entro i confini del 1967 e smantellare molti degli insediamenti. Solo allora i palestinesi e gli altri Stati arabi negozieranno una pace duratura".
Aspettando che la Storia faccia il proprio corso e gli uomini le proprie scelte, non resta che guardare a oriente con speranza.