mercoledì 27 novembre 2019

AI PIEDI DEL MONTE TAURO SPLENDE L'INCANTO ASSEDIATO




È un vero peccato che in certi periodi dell'anno questo luogo dallo splendore dirompente ma delicato venga soffocato da un turismo sempre più invasivo e caotico, che spazza gli eleganti vicoli come una valanga umana. Da Pasqua ad ottobre purtroppo non è possibile godere appieno delle meraviglie storiche, archeologiche, paesaggistiche di Taormina. Per il commercio il grande afflusso è indubbiamente positivo, anche se oltre un certo limite tutto ne risente. Anche gli affari.

Palazzo Duchi di Santo Stefano, perla trecentesca dell'arte gotica siciliana, con radici arabo normanne

Lasciando per un secondo da parte la confusione, che impedisce di godere della bellezza nell'unico modo possibile, ovvero con tranquillità, anche l'assalto in sé al luogo comporta controindicazioni: aumento abnorme dei prezzi, con relativo sfruttamento talvolta spudorato del turista e, per reazione, l'adozione di un atteggiamento prudente da parte di molti visitatori. Forse sarebbe meglio rispettare di più Taormina. Un po' tutti. Provare a limitare le presenze per rendere minimamente fruibili, con calma e decoro, i siti storici e culturali e al contempo monitorare gli eventuali eccessi da parte degli esercenti.

Palazzo Duchi di Santo Stefano, perla trecentesca dell'arte gotica siciliana, con radici arabo normanne

Detto questo è pleonastico sottolineare quanto le chiese e i palazzi, gli scorci mozzafiato del mare e dell'Etna, nonché profumi e colori che riempiono l'aria siano unici al mondo. Non si può non vedere Taormina almeno una volta nella vita. Un concetto che si potrebbe tranquillamente estendere a tutta la Sicilia del resto. Tappa irrinunciabile ai piedi del monte Tauro, che dà il nome alla cittadina, sicuramente il teatro greco: con la sua vista straordinaria sul mare e l'Etna fu eretto in epoca ellenistica (III sec. a.c.) e venne ricostruito in età romana, nel II secolo d.c.

Taormina regala scorci meravigliosi

Una speciale menzione meritano gli angoli più nascosti della famosa Taormina. Come Palazzo Duchi di Santo Stefano, un po' in disparte, quasi voglia nascondersi dal trambusto. Perla trecentesca dell'arte gotica siciliana, con radici arabo normanne, colpisce lo sguardo per il fregio ad intarsi in pietra lavica e bianca di Siracusa, senza dimenticare le incantevoli bifore semplici e trilobate. La magia ai piedi del monte Tauro attende gli amanti dello splendore. Da gustare con calma. 

mercoledì 23 ottobre 2019

RIVIERA DEI CICLOPI E ACIREALE, LA COSTA A NORD DI CATANIA

Aci Castello (CT), la fortezza arabo-normanna che sorge su uno sperone basaltico a picco sul mare. 

A pochi chilometri dal centro del capoluogo etneo, la Sicilia orientale regala scorci indimenticabili in località rese immortali non solo dalla bellezza dei millenni, ma anche dalla letteratura e dal cinema. Come Aci Trezza, suggestivo borgo di pescatori dominato dai faraglioni.

Aci Castello, particolare della fortezza. 

Aguzzi denti di roccia chiamati Le isole dei Ciclopi poiché, secondo il mito, sarebbero state scagliate da Polifemo, dopo averle strappate all'Etna, contro Ulisse in fuga. Qui Giovanni Verga ambientò il capolavoro del Verismo "I Malavoglia"e Luchino Visconti girò "La terra trema". Tale enorme eredità vive nel museo Casa del Nespolo, antica abitazione nel centro storico.

All'interno del maniero collezioni archeologiche e naturalistiche. Anche un orto botanico.

Aci Trezza è una frazione di Aci Castello il cui nome deriva dall'imponente maniero d'origine normanna che sorge su uno sperone basaltico a picco sul mare. Distrutto e ricostruito dagli arabi nel X secolo ed espugnato da Federico D'Aragona nel 1297 oggi ospita il Museo Civico con collezioni archeologiche e naturalistiche. Dalle sue mura si gode una vista privilegiata della Riviera dei Ciclopi lì, a poche centinaia di metri.

Aci Trezza (CT), il borgo de "I Malavoglia" di Giovanni Verga, impreziosito dai faraglioni.
Per arrivare ad Acireale, invece, occorre coprire una distanza maggiore di quella che separa i borghi attigui di Aci Trezza ed Aci Castello. Distrutto ripetutamente da eruzioni e terremoti, il maggiore dei centri sul versante orientale del vulcano è un gioiello del barocco siciliano. Fiore all'occhiello è la cattedrale cinquecentesca: i suoi due campanili a cuspide rivestiti di maioliche policrome sono uno spettacolo unico.

La cattedrale cinquecentesca di Acireale (CT) con i suoi due campanili a cuspide rivestiti di maioliche policrome.

Come la meridiana inserita nel pavimento del transetto nel 1843 da un astronomo tedesco. Senza dimenticare il palazzo comunale con i carattristici mascheroni barocchi e la Basilica collegiata di S. Sebastiano, con la sua balaustra arricchita da dieci statue raffiguranti personaggi dell'Antico Testamento.

la Basilica collegiata di S. Sebastiano ad Acireale, con la sua balaustra arricchita da dieci statue
raffiguranti personaggi dell'Antico Testamento


Non solo Catania, quindi, merita di essere scoperta in quest'angolo di Sicilia dominato dalla maestosa presenza del "Monte isolato".

I mascheroni barocchi che adornano del palazzo comunale di Acireale

lunedì 23 settembre 2019

L'ARTE ALL'OMBRA DEL VULCANO


Alle pendici dell'Etna, costruita con le pietre nere del vulcano, Catania sorprende per l'enorme ricchezza artistico culturale del proprio centro storico. Già atterrando a Fontanarossa ci si rende conto di arrivare in un luogo unico. Stretta tra il mare e il gigante di fuoco la città è permeata del fascino di quest'angolo di Sicilia. Soprattutto si colora del tono cupo e onirico della pietra lavica.

Al castello Ursino fino al 3 novembre 2019 in mostra lo straordinario Kouros ritrovato: particolare statua greca con funzione votiva o funeraria di giovane nudo, diffusa nel periodo arcaico e classico, VII - IV secolo a.c.

Qui si comprende subito cosa debba essere il rispetto per la natura e la sua forza dirompente. Che non è mero fatalismo ma accettazione di ciò che non può essere contenuto. Da fenomeni sconvolgenti come eruzioni o terremoti l'uomo può solo trarre insegnamento, imparando dal dolore e riflettendo sulla propria natura. Per convivere al meglio con energie troppo più grandi in una terra meravigliosa proprio grazie a quelle energie. Le quali tuttavia non sempre sono distruttive. I paesaggi incantati tutt'attorno, figli di una natura rigogliosa e fertile, lo dimostrano.

Interno della chiesa di S.Benedetto, nello splendido scrigno barocco di Via Crociferi

E poi è come se la potenza degli elementi contagiasse l'uomo e lo spingesse a dar sfogo alla propria capacità di creare.Catania, infatti, fu rasa al suono dal terremoto del 1693, ma da quella tragedia si generò il fulgore della rinascita barocca del Settecento.
Si rischia si essere banali elencando tutti i molteplici luoghi di Catania meritevoli d'essere visitati. Forse la soluzione migliore è evidenziare ciò che più ha colpito il proprio sguardo.

Il coro della chiesa di S.Benedetto. Il profilo assomiglia a quello della prua di una nave.

Come lo stupefacente Teatro romano che emerge dagli edifici sorprendendo il visitatore con la sua imponenza. Realizzata tra il I e il IV secolo e perfettamente conservata, questa struttura è oggi un museo che accoglie il pubblico tra le tribune, che in origine potevano contenere 7 mila spettatori, e negli alti corridoi coperti a volta. In basso le acque del fiume Amenano, utilizzate in passato per i giochi d'acqua degli spettacoli, bagnano ancora il terreno. 

Chiesa di S.Benedetto, Particolare dell'interno con gli splendidi affreschi barocchi

A qualche centinaio di metri dal teatro il castello Ursino domina la città. Voluto da Federico II e costruito tra il 1239 e il 1250 è una delle rare testimonianze medievali della città. Solida struttura a pianta quadrata con quattro torri, dal 1934 ospita il museo civico con importanti raccolte settecentesche. In mostra fino al 3 novembre 2019 lo straordinario Kouros ritrovato: particolare statua greca con funzione votiva o funeraria di giovane nudo, diffusa nel periodo arcaico e classico, VII - IV secolo a.c. 

Il castello Ursino, voluto da Federico II ultimato nel 1250, è una delle rare testimonianze medievali della città di Catania.

Imperdibile anche il monastero di S.Benedetto nella monumentale via Crociferi, scrigno barocco di chiese e facciate. Eretto nel 1355 ma riedificato dopo il terremoto, fu completato nel 1763 dal Vaccarini. Nella Badia Grande la meravigliosa chiesa da visitare nel silenzio per rispettare le religiose che ancora abitano il luogo. Molti altri sono i tesori del Capoluogo etneo, da piazza Duomo a Palazzo Biscari, fino a S.Nicolò l'Arena con la sua ipnotica facciata incompiuta. Solo per citarne alcuni. 
Arte e cultura si sposano appieno con i sapori e i profumi di questa terra assolata e magica. All'ombra del vulcano. 

S.Nicolò l'Arena con la sua celebre facciata incompiuta.

sabato 31 agosto 2019

IL MONTE ISOLATO, SPLENDORE E FURIA DELLA SICILIA



Ovunque ci si trovi in quella parte di Sicilia compresa tra Catania e Taormina, territorio straripante di arte, storia e bellezza come il resto dell'isola d'altra parte, si ha quell'indimenticabile profilo dinanzi agli occhi. L'imponente ombra del vulcano più alto d'Europa, con i suoi 3.350 metri, e tra i più attivi del mondo per le continue manifestazioni eruttive: l'Etna o Mongibello, dall'arabo gebel ovvero "monte isolato", può essere a ragione considerato, al contempo, compagno di vita e spada di Damocle per tutti gli abitanti dell'area a causa della sua immane potenza. Forza generatrice di madre amorevole che rende fertile il terreno e splendido il paesaggio. Ma anche matrigna implacabile che non esita a minacciare con la sua imprevedibile energia.

Etna, dal rifugio Sapienza si ammirano panorami incredibili

Il fascino di questa montagna che troneggia, visibile anche dalla Calabria nelle giornate più limpide, rapisce all'istante. Appena ci si inerpica lungo la tortuosa strada che da Zafferana Etnea, delizioso borgo alle pendici meridionali del gigante, porta al rifugio Sapienza, ultimo avamposto umano prima della grande, solitaria distesa dai colori intensi e cupi. Irrinunciabile un'escursione in questi scenari fantastici tra crateri e colate secolari annerite dal tempo.



Più in basso, lontano, l'acceso contrasto tra l'azzurro del mare e l'urbanizzazione troppo spesso eccessiva e violenta della costa. Ma dietro di noi, in alto, non c'è che il potere ammaliante di una delle manifestazioni più affascinanti e terribili della creazione. Il vento che sferza il viso non impedisce di contemplare la poesia di quelle rocce nere, di quelle superfici la cui aridità, solo apparente, trasmette un forte senso di assoluto, di eternità.

Il tramonto sull'Etna

Vivere il tramonto sul Mongibello, sul monte isolato che colpì gli antichi dominatori arabi, è il perfetto coronamento di un'esperienza che va oltre la mera gita turistica. L'Etna è un universo a sè: dominatore di un territorio ma quasi separato da esso. La spietata semplicità di quegli scorci, infatti, appare distante più di quanto dica la geografia dal clamore e dagli orpelli di cui si nutre la vita sul livello del mare. Luogo altro, di venti freddi e colori scuri. L'isolato colosso che regna sulla Sicilia.

lunedì 5 agosto 2019

DAL COLLE DEL DIO FANCIULLO IL FORO EMILIO GUARDA IL MARE



La sensazione che si prova guardando verso il basso dal monte S.Angelo, che custodisce i maestosi resti del tempio di Giove Anxur e l'incantevole borgo medievale e romano di Terracina, è un misto di amarezza e fierezza.

Il borgo antico di Terracina (LT). L'area medievale abbraccia il foro romano.

La prima emozione deriva dall'impatto visivo negativo con il paesaggio sottostante. Ovvero l'immensa e spietata colata di cemento che si estende a perdita d'occhio lungo tutto il litorale della moderna cittadina laziale. La seconda emozione, opposta alla prima, è figlia del legame istintivo con quell'antica bellezza che sopravvive all'avanzata apparentemente inesorabile della devastazione. Ci si aggrappa a quel secondo pensiero per scacciare il primo e si cerca di non guardare troppo giù, rimanendo immersi nel silenzio dei millenni contemplando le potenti radici lasciate dalla storia.

Un tratto dell'Appia Antica incrocia il lastricato della piazza, che coincide con l'antico foro Emilio, dal nome del patrizio che fece edificare gran parte degli edifici del nucleo antico attorno al I secolo d.c.
Il tempio di Giove Anxur e il borgo antico di Terracina sono i simboli di un territorio le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Fu abitato prima dagli Ausoni, poi da Etruschi, Volsci e Romani. Appena sotto il tempio del Dio fanciullo l'area medievale del borgo abbraccia quella del Foro. La piazza è dominata dal duomo a sua volta edificato sulle struttre di un tempio pagano preesistente.

L'antico borgo di Terracina (LT), la gran parte del quale coincide con l'antico foro Emilio, dal nome del patrizio che fece edificare gran parte degli edifici del nucleo antico attorno al I secolo d.c.
Il lastricato della piazza è ancora il medesimo del foro romano, detto Emilio dal nome del patrizio che nel I secolo d.c. fece costruire la gran parte degli edifici. Perfettamente coservato anche un tratto della via Appia Antica che attraversa la piazza accanto ad un'area in cui proseguono gli scavi che stanno portando alla luce altri importanti reperti dell'età classica. 
Scorci inaspettati per fascino e valore culturale quelli che si godono sul monte Sant'Angelo. Basta non soffermarsi a guardare troppo in giù. Ci si può concentrare però ad ammirare il blu intenso del mare. Acque splendide che non hanno colpe dell'uso che l'uomo ha fatto di un territorio ricco di incredibili tesori, donati dagli Dei e dalla natura.

lunedì 15 luglio 2019

IL CUORE D'ITALIA CHE ISPIRÒ LE CRONACHE DELL'ARMADIO

Particolare della maestosa pala d'altare del Ghirlandaio, raffigurante l'Incoronazione della Vergine (1486 circa)


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Non solo centro geografico della Penisola ma soprattutto luogo di memorie suggestive, paesaggi unici e cultura da ammirare. Fondata dal popolo degli umbri col nome di Nequinum, l'attuale Narni (TR) venne conquistata dai romani nel 299 a.c. e chiamata Narnia. Un nome che ritroviamo dapprima nel titolo di una celebre serie di romanzi di C.S. Lewis, "Le cronache di Narnia", e successivamente in quello dell'omonimo film del 2005, in cui i giovani protagonisti entrano in un mondo fantastico passando attraverso un piccolo armadio.

Duomo di S.Giovenale, fondato nel 1047. All'interno due basse arcate separano le tre navate

Impossibile quindi non essere colpiti dal fascino di un luogo che ispirò letteratura e cinema. Il visitatore d'oggi infatti può godere di un borgo avvolto dalla magia e dal mistero, in cui il tempo pare essersi fermato. A contribuire a tale aura ammaliante, come in molte altre parti d'Italia del resto, è la ricca eredità storico culturale figlia dei millenni.

Casa Sacripanti, bassorilievi medievali

Molteplici i tesori da scoprire curiosando lungo gli stretti vicoli del centro storico di Narni. Si parte dal Duomo del XI secolo, con il suo meraviglioso Sacello dei Vescovi, per proseguire poi ammirando il Palazzo dei Priori dalla grandiosa loggia e il duecentesco Palazzo del Podestà appena di fronte. Acccanto a quest'ultimo sorge il Palazzo Sacripanti sulla cui facciata compaiono bassorilievi di rara bellezza. Irrinunciabile la visita al museo di Palazzo Eroli che può fregiarsi di due perle assolute: L'Annunciazione di Benozzo Gozzoli e la maestosa pala d'altare del Ghirlandaio raffigurante l'Incoronazione della Vergine. Magnifici infine i mosaici all'interno della chiesa romanica di S. Francesco.

Santa Maria Impensole, XII secolo. Portali scolpiti con motivi di stampo classico.

Ma è il sottosuolo del borgo a stupire, grazie ad una visita a cui non ci si può davvero sottrarre. Quella che conduce nei sotterranei della chiesa di S.Domenico per poi svilupparsi nei meandri della Narni sotterranea. Una discesa nell'anima prima dimenticata e poi riscoperta della città che fa vivere un'esperienza straordinaria. Luoghi scoperti quasi per caso nel 1979 da speleologi giovanissimi e scriteriati, la cui irrequietezza tuttavia ha donato al mondo un tesoro d'incredibile incanto: una chiesa del XIII sec. dedicata a S.Michele Arcangelo con affreschi tra i più antichi della città. E poi la cisterna romana e soprattutto "la Sala dei tormenti", luogo in cui venivano torturati i prigionieri dell'Inquisizione, e l'attigua cella di detenzione. Quest'ultima costituisce un vero intrigante enigma che rapisce il visitatore al primo sguardo. Le pareti dell'angusta stanza infatti sono ricolme di complessi simboli d'origine alchemico massonica, ancora pienamente visibili, realizzati da alcuni prigionieri.

Abbazia romanica di S. Cassiano, XII secolo, sorge su un pendio di fronte al borgo di Narni

Non è ancora finita: poco fuori il centro di Narni, in posizione rialzata rispetto al borgo, troneggia la Rocca Albornoz, dal nome del cardinale che la fece erigere. Dopo anni di abbandono la fortezza è oggi visitabile in tutta la sua austera imponenza, e ne vale veramente la pena. Così come per il ponte d'Augusto, gigantesca opera che sovrasta ancora oggi il fiume Nera ai piedi del colle su cui sorge Narni e l'abbazia di S.Cassiano che emerge dalla fitta e verdeggiante vegetazione del pendio montuoso di fronte all'antica Nequinum.

Chiesa di S. Francesco XIV secolo. Magnifici i mosaici all'interno

La città delle cronache dell'armadio racchiude davvero un'infinità di storie fantastiche. Per vivere le quali non serve nemmeno giocare a nascondino in una soffitta, ma è sufficiente salire il colle di Narni.

giovedì 2 maggio 2019

IL MITO DELL'ARPIA ALEGGIA SUL BORGO FANTASMA

Celleno, castello Orsini


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A Celleno si arriva percorrendo la strada che porta, qualche chilometro più avanti, alla più famosa Civita di Bagnoregio. Entrambi i piccoli paesi sono caratterizzati da un comune contesto geologico e paesaggistico all'insegna dell'assoluta unicità. Quelle profonde e vaste fratture, i celebri calanchi, scavate dall'acqua negli strati argillosi e sabbiosi del terreno, sovrastati dal materiale d'origine vulcanica depositatosi durante le varie fasi d'attività dell'apparato Vulsino. Un connubio peculiare che dà vita agli scorci spettacolari di cui il visitatore può godere in questa parte di Tuscia viterbese tra il Capoluogo e il lago di Bolsena.

Celleno, il Campanile di S.Donato

Celleno è sicuramente meno nota della vicina Civita di Bagnoregio ma non meno affascinante e suggestiva. Non solo dal punto di vista ambientale. Le radici storiche dell'abitato infatti affondano in profondità nei millenni e il borgo antico è testimonianza di questa complessità culturale. L'origine del nome potrebbe derivare dal termine cella, nel significato di cavità o grotta, in considerazione della natura geologica del territorio. Decisamente più evocativa, anche se meno verosimile, l'ipotesi legata al mito di Celeno, che nella mitologia greca era una delle tre figlie di Taumante ed Elettra. Lo stemma del Comune infatti riporta un'arpia su campo azzurro con le ali spiegate.

Particolare del castello Orsini

Oltre la leggenda c'è la storia del castello, appartenuto agli Orsini e fondato nel 1026. Complesso monumentale adagiato su un pianoro tufaceo in un'area dalle origini antichissime, che risalgono agli etruschi. Oggi la fortezza Orsini accoglie i curiosi con il suo spartano e ben conservato profilo. L'imponente cinta muraria è visibile anche passeggiando attorno all'ampio fossato che cinge la struttura. Di fronte al castello la chiesa di S.Carlo, fondata nel 1625 e quella di S.Donato, più in alto, oggi in stato di abbandono ma svettante con il suo campanile. Poco fuori l'abitato troviamo il convento di S.Giovanni Battista del XVII secolo, sorto su una preesistente chiesa romanica. 

Convento di S.Giovanni Battista (XVII sec.)

Celleno è un piccolo e delizioso angolo nascosto tra Viterbo e la Toscana. Un territorio baciato dallo splendore. Il segreto è scoprirlo con dovuta lentezza perché ogni angolo cela tesori inestimabili. Ogni lembo di Tuscia è una preziosa testimonianza di cultura e identità.

giovedì 28 marzo 2019

IL BORGO DEI CALANCHI CONTINUA A VIVERE SULL'ARGILLA




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Un fragile lembo di terra in perenne lotta con la propria natura cadùca sostiene da secoli l'unicità e l'indicibile bellezza di Civita di Bagnoregio. Pugno di case antiche, isola instabile minacciata da una tempesta silenziosa, quella che disgrega le rocce argillose troppo deboli per fronteggiare i colpi del vento e dell'acqua. Un destino che appariva segnato. La "Città che muore" veniva infatti definito questo piccolo gioiello della Tuscia viterbese, a due passi dalla splendida quiete del lago di Bolsena e incastonato nella famosa Valle dei Calanchi, particolari solchi sui fianchi delle friabili colline.
Quasi delle ferite inferte dall'erosione, cicatrici che tuttavia conferiscono fascino epico. Come un guerriero dopo mille battaglie. Un eroismo malincolico, titanico e sofferente allo stesso momento. L'immagine del borgo che non vuole morire rimanda a luoghi lontani, fantastici: deserti e gole arse da soli lontani. Altri continenti o libri d'autori visionari.


Civita di Bagnoregio (VT), perla della Tuscia viterbese.

Fortunatamente Civita di Bagnoregio non corre più i pericoli d'un tempo. Molti i lavori che sono stati realizzati per rinforzare l'anima delicata del colle su cui sorge il paese. I fianchi cagionevoli di quest'antica ma tenace signora sono stati consolidati ed altri interventi hanno permesso agli abitanti e ai molti estimatori di tirare un sospiro di sollievo.
I turisti possono continuare così ad ammirare un luogo onirico, in cui la natura crea mille sfumature straordinarie da cogliere con pazienza, contemplando da punti ed angolazioni diverse l'impatto della luce sulla vegetazione rada ma generosa di emozioni. Respirare i colori di quest'angolo di Tuscia è parte integrante di una visita che rimarrà nel cuore. Come tutto, del resto, del patrimonio storico, artistico e paesaggistico italiano. Meravigliosa identità.


Civita di Bagnoregio (VT), perla della Tuscia viterbese.

giovedì 14 febbraio 2019

LA SFARZOSA FORTEZZA CHE CELEBRA I FASTI DEI FARNESE





È visibile già da alcuni chilometri di distanza, mentre ci si avvicina al borgo di Caprarola percorrendo le strette strade circondate dal verde della Tuscia viterbese. Siamo sul versante orientale dei Monti Cimini a due passi dallo splendore del Lago di Vico. 
Caprarola è un curioso e fitto agglomerato di basse case del colore scuro del tufo, distese su di un ripido crinale alla cui sommità troneggia uno dei simboli della zona: il Palazzo Farnese. Un edificio imponente ed elegante il cui sfarzo rappresenta appieno la ricchezza e l'amore per l'arte della famiglia che lo costruì. Pregevole esempio di architettura civile rinascimentale, il palazzo fu costruito a partire dai primi anni del '500 in due fasi.
Due furono infatti gli esponenti dei Farnese, curiosamente entrambi Alessandro, che promossero l'edificazione. Il primo divenne Pontefice nel 1534 con il nome di Paolo III e commissionò l'opera ad Antonio da Sangallo il Giovane, sotto la direzione di Baldassarre Peruzzi, per realizzare un forte a difesa del borgo. I lavori si interruppero per riprendere solo trent'anni dopo per iniziativa dell'altro Alessandro, nipote cardinale del primo.

La volta al di sopra della Scala Regia di Palazzo Farnese, a Caprarola (VT). Una grande allegoria sulle imprese farnesiane e sulla magnificenza del Cardinale Alessandro Farnese caratterizza tutto il percorso della Scala Regia e non solo. La cupola è l'apoteosi di questa allegoria, con al centro lo stemma del cardinale tra scene di angeli ed immagini della Vergine Maria.

Questi mantenne la pianta pentagonale e i bastioni della fortezza originaria, ma volle trasformarla all'interno in una lussuosa dimora signorile. Il Vignola, cui furono assegnati i lavori, portò a termine il progetto nel 1559. Le stupefacenti decorazioni delle sale e la realizzazione del giardino richiesero però decenni di impegno. Tutto terminò nel 1586.
Gli affreschi che adornano l'interno del palazzo rendendolo un tesoro unico furono compiuti da insigni artisti del tempo: dai fratelli Taddeo e Federico Zuccari a Raffaelino da Reggio; dal Bertoja a Giovanni de' Vecchi fino a Giovanni Antonio da Varese. Senza dimenticare la monumentale Scala Regia, progettata dal Vignola e decorata da Antonio Tempesta. Una struttura a forma elicoidale / ellittica e composta da trenta colonne doriche di peperino affiancate tra loro.
Palazzo Farnese nel suo incanto è una meta perfetta per una visita culturale in uno degli angoli più affascinanti del Lazio. Una terra ricca di perle storico artistiche da ammirare ma anche piacevolezze paesaggistiche ed enogastronomiche da gustare. Elevazione dello spirito e del corpo.

Particolare della Scala Regia di Palazzo Farnese a Caprarola (VT). Disegnata dal Vignola e decorata da Antonio Tempesta. Sconosciuto, tuttavia, l'autore delle decorazioni sulla cupola.

domenica 20 gennaio 2019

LA CITTÀ NUOVA CHE PASSÒ IL TESTIMONE A QUELLA ANTICA



La porta di Giove, ingresso dell'antico sito di Falerii Novi, millenario e misterioso luogo d'origine falisca


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Falerii Novi è un sito di grande valore e fascino immerso nella suggestiva campagna che si stende tra il monte Soratte e i monti Cimini, nel nord del Lazio. L'antico Ager Faliscus, territorio fertile che fu confine tra due popoli fieri e ricchi di storia come i Falisci e gli Etruschi. Tanto i primi quanto i secondi furono sconfitti e conquistati da Roma ma lasciarono la propria importante eredità culturale, artistica e architettonica.
La storia di Falerii Novi, il cui nome potrebbe derivare da Halaesus figlio di Agamennone, non può prescindere da quella della sorella antica, Falerii Veteres, distante pochi chilometri e distrutta dai Romani nel 241 a.c. I sopravvissuti fondarono quindi il nuovo abitato che divenne municipium romano nel 90 a.c. Con la caduta dell'Impero e il caos che ne seguì i figli della nuova Faleria si convinsero a tornare alle antiche mura. La migrazione avvenne gradualmente nel corso dell'VIII secolo d.c. e con maggiore intensità nel X secolo a causa delle scorrerie normanne. Così, dopo più di mille anni terminava la storia di Falerii Novi in favore, paradossalmente, di Falerii Veteres. La quale col tempo cambiò nome, prima in Massa Castellania e successivamente nell'attuale Civita Castellana.

Scorci suggestivi del paesaggio che contraddistingue Falerii Novi. Sullo sfondo il monte Soratte

La visita nel sito di Falerii Novi si apre scorgendo le imponenti mura, costruite con giganteschi blocchi quadrati di tufo rosso e lunghe 2108 metri, che abbracciano i 27 ettari di territorio dell'insediamento. Tra le parti meglio conservate troviamo la porta di Giove, che si incontra appena arrivati. Essa costituisce il primo esempio di architettura etrusca in territorio falisco. L'originale della testa del Dio Giove, per secoli nella chiave di volta dell'arco, è oggi conservata nel Forte Sangallo di Civita Castellana.
Altro tesoro del sito è la duecentesca abbazia di S.Maria di Falerii. L'edificio risale al XII secolo e fu abbandonato nel 1798 dopo i gravi danni causati dalle battaglie tra francesi e borbonici. Grazie ai recenti restauri i visitatori possono ammirare appieno lo splendore del portale cosmatesco, del rosone e dell'elegante interno a tre navate con colonne doriche e capitelli corinzi.
Apprezzare le perle che il territorio di Falerii Novi custodisce, dà la possibilità di capire quanta bellezza e cultura vi sia nella Tuscia viterbese, a poca distanza da Roma. Ulteriore prova, semmai ve ne fosse bisogno, dell'infinità di luoghi unici e meravigliosi che il Lazio ha da offrire. Cultura e identità da contemplare.


Abbazia di S.Maria di Falerii, XII secolo. Interno a tre navate con colonne in stile dorico