mercoledì 9 febbraio 2011

RAPPORTO CENSIS 2010: ITALIA TRA VACUITÀ E VIOLENZA

Cinismo, appiattimento, aggressività, una fotografia impietosa quella che emerge dal 44° rapporto del Censis, il celebre istituto di ricerca, sulla situazione sociale del nostro Paese. Stretta nella morsa tra globalizzazione economica che demolisce ogni certezza, e civiltà dei consumi che anestetizza volontà e coscienza, il tessuto sociale italiano si scopre scollato e pericolosamente in caduta verso un nichilismo anarchico.
“La società slitta sotto un’onda di pulsioni sregolate” si legge nelle considerazioni generali del rapporto Censis 2010, nella parte dal titolo “Un inconscio collettivo senza più legge, né desiderio”. “Sono evidenti” prosegue il testo “manifestazioni di fragilità sia personali che di massa: comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro”. È evidente che in queste dinamiche la crisi economica giochi un ruolo importante, ma essa non è il solo elemento alla base di questo fenomeno. Vi sono ragioni che affondano le proprie radici nella struttura stessa del vivere moderno. Nello scontro tra fiducia in un futuro di ineluttabile sviluppo e progresso e la realtà di tutti i giorni fatta di abbassamento costante della qualità della vita, si tende a perdere la bussola, specie in assenza di punti di riferimento; siano essi laici, istituzioni politiche, o religiosi. Entrambi colpiti duramente da sfiducia e scetticismo.
Il risultato sono i nostri tempi. “Si afferma così” sottolinea ancora l’indagine del Censis “una diffusa e inquietante sregolazione pulsionale, con comportamenti individuali all’impronta di un egoismo autoreferenziale e narcisistico: negli episodi di violenza familiare, nel bullismo gratuito, nel gusto apatico di compiere delitti comuni, nella tendenza a facili godimenti sessuali, nella ricerca di un eccesso di stimolazione esterna che supplisca al vuoto interiore del soggetto, nel ricambio febbrile degli oggetti da acquisire e godere, nella ricerca demenziale di esperienze che sfidano la morte, come il balconing. Una società che si va contraddistinguendo, con forza sempre maggiore, per vacuità e confusa aggressività. Si vive senza norma, quasi senza individuabili confini della normalità, per cui tutto nella mente dei singoli è aleatorio vagabondaggio, non capace di riferirsi a un solido basamento”.
Le pagine di cronaca nera dei giornali sono lì a testimoniarlo, non tanto per il numero in sé di delitti commessi, quanto per il contesto di sconvolgente normalità in cui spesso nascono. Dal tassista massacrato a Milano per aver investito un cane, all’infermiera romena uccisa a Roma per una fila saltata. Solo per citare i due casi più recenti ed eclatanti.
È necessario ridare senso alle cose quindi, ritrovando la bussola smarrita o, nell’attesa, almeno imparare a orientarsi con le stelle. A questo proposito il rapporto Censis parla di riscoperta del desiderio “individuale e collettivo, per andare oltre la soggettività autoreferenziale, per vincere il nichilismo dell’indifferenza generalizzata. Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”. La soluzione passerebbe allora attraverso un nuovo tipo di desiderio, differente da quello imprigionato nella dinamica consumatore-moda. Quello già c’è ed evidentemente è una parte del problema che ci troviamo ad affrontare. Tra i processi attualmente in fase di sviluppo nei quali sono ravvisabili, secondo il rapporto Censis 2010, “germi di desiderio”, troviamo l’interessante aspetto legato alla riscoperta del “fare comunità in luoghi a misura d’uomo” come borghi, paesi e piccole città. Un fenomeno questo, che sta prendendo piede sia per ragioni economiche, legate al costo della vita indubbiamente maggiore nelle grandi metropoli rispetto ai piccoli centri, sia per motivi legati alla qualità della vita stessa, dai ritmi più bassi all’aria migliore e alla tranquillità. Una prima risposta alla società vuota e apatica denunciata nel Rapporto. Una potenziale via d’uscita su cui lavorare, non solo come fuga nelle poche isole felici ancora al riparo dai problemi della modernità, ma anche e soprattutto come proposta generale di cambiamento. Ridare una dimensione umana alla società delle risorse umane.