sabato 6 marzo 2010

VOTO A PERDERE

Un'urna elettorale (wikipedia.org)


Il 28 marzo gli italiani si recheranno a votare per le elezioni regionali in un contesto economico politico e sociale molto teso. Entrate fiscali e pil in calo, debito e disoccupazione in ascesa e prospettive di crescita piuttosto fosche. Fioccano da tempo, inoltre, inchieste giudiziarie che coinvolgerebbero esponenti politici di ambo gli schieramenti, imprenditori e funzionari pubblici ed elementi della malavita locale e organizzata. Tutti legati, secondo quanto emerso in special modo dalle intercettazioni telefoniche, da una spiccata sete di denaro, pubblico naturalmente. Se si considera infine, la vicenda grottesca della mancata presentazione, per le stesse consultazioni del 28 marzo, di alcune liste legate a partiti politici di spicco, emerge un quadro sconfortante di delegittimazione e inaffidabilità che investe in maniera preoccupante, ormai, la stessa democrazia rappresentativa nel nostro Paese. Tale situazione di inabissamento etico della politica, ormai patologia in Italia, non risparmia però le altre Nazioni.
"Ormai in Occidente la politica è un prodotto come tanti altri" scrive Loretta Napoleoni su Internazionale del 5 marzo "viene venduto attraverso gli spot pubblicitari, con l'aiuto di uomini e donne (poche) che recitano un copione scritto dalla raffinata macchina della propaganda. Gli acquirenti naturalmente siamo noi, i cittadini consumatori. Lo scopo? I soldi più che il potere". Prodotto, vendere, spot, consumatore. Un linguaggio più consono al marketing che alla gestione della Cosa Pubblica, e non è un caso. "I partiti somigliano sempre più a un'azienda e sempre meno a un'organizzazione che ha un programma politico" aggiunge la Napoleoni "Questo spiega perchè nel 1999 la Enron ha finanziato metà della campagna elettorale di George W. Bush. In cambio, una volta eletto, Bush ha concesso al gruppo energetico la tanto desiderata deregulation del settore. Il principio della democrazia-mercato è quindi il classico do ut des, anche quando il baratto costringe il partito a contraddire il suo programma".
E i numeri solo lì a testimoniare il progressivo abbandono della politica s.p.a. da parte dei cittadini: "Tra il 1978 e il 1999 i partiti francesi hanno perso il 64,5% degli iscritti", prosegue l'economista italiana su Internazionale "pari a circa un milione di persone, mentre il numero dei tesserati nei partiti italiani e britannici si è dimezzato". Con l'inevitabile conseguenza che "Il partito azienda è ormai una struttura politica ed economica 'personale' che tutela esclusivamente gli interessi dei politici e dei loro sponsor".
Un'analisi impietosa che non può che far riflettere sul ruolo che gli aventi diritto al voto hanno oggi e sulla strada che, ormai da tempo, le democrazie rappresentative hanno scelto di percorrere. Un sentiero che conduce lontano dai cittadini. "I partiti in competizione per il potere" scrive Massimo Fini nel suo provocatorio articolo La truffa democratica pubblicato su Il fatto quotidiano del 27 febbraio "hanno bisogno del consenso, e non bastandogli la propaganda e il controllo, diretto e indiretto dei media (che, non a caso, sono chiamati spudoratamente 'gli strumenti del consenso', senza nemmeno più rendersi conto di quanto ciò li squalifichi), se lo comprano. E per comprarselo hanno bisogno di soldi, che si procurano con le tangenti, gli affari illegali e ruberie di vario genere".
È stata la stessa Corte dei Conti, d'altra parte, a richiamare recentemente l'attenzione dell'opinione pubblica italiana sull'aumento delle denunce per corruzione relative al 2009. Un +229% che ha spinto Tullio Lazzaro, presidente della magistratura contabile, a lanciare un vero grido d'allarme.
La politica, per essere realmente legittimata, deve essere credibile agli occhi dei cittadini. Condizione imprescindibile per questo è l'onestà nell'operare per perseguire l'interesse della collettività. Fino a quel momento non ha senso parlare di rappresentatività.


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