martedì 30 marzo 2010

ONDA ANOMALA




Hanno vinto la Lega e l'astensione. Questa sembra essere la chiave di lettura per comprendere l'esito delle elezioni regionali del 28 e 29 marzo. Il Carroccio dilaga al nord e non solo, portando due propri candidati, Luca Zaia e Roberto Cota, alla presidenza rispettivamente di Veneto e Piemonte e insidiando seriamente, nelle regioni più ricche e produttive del Paese, la leadership di Silvio Berlusconi. Il partito del premier, infatti, il Popolo della Libertà, rispetto alle elezioni europee del 2009 perde quasi il 9%, sprofondando dal 35,3 al 26,7%. Molto prima dei festeggiamenti leghisti e del centrodestra, però, era già chiaro a tutti che la disaffezione alla politica avrebbe condizionato i risultati elettorali attraverso il fattore astensionismo. Il dato definitivo del non-voto ha fatto registrare infatti il 36%, con un aumento del 7,8% rispetto alle ultime tornate elettorali. Una cifra record, con un elettore su 3 rimasto a casa.
"Il forte decremento nella partecipazione elettorale" scrive Renato Mannheimer sul Corriere della Sera del 30 marzo "costituisce senza dubbio uno degli esiti più rilevanti, se non il più importante [...] di queste elezioni regionali. Il calo complessivo della quota di votanti è uno dei più elevati riscontrabili negli ultimi dieci anni. Le motivazioni principali [...] sono legate soprattutto ad un allontanamento dalla politica [...] sentita sempre più come lontana (e talvolta irrilevante) dalla vita di tutti i giorni".
Certo, non ha contribuito a portare gente ai seggi l'ultima surreale campagna elettorale, fondata sulla dicotomia odio/amore e non sulla crisi economica. Zero lavoro, nulla su disoccupazione, inoccupazione o famiglie in difficoltà. Nessuno che abbia avuto la decenza di affrontare il problema dei siti su cui costruire le famose centrali nucleari, né proporre idee per il futuro di un Paese che ha, è bene ricordarlo, 6 volte il debito pubblico della Grecia che è di fatto già fallita e ha visto crollare negli ultimi anni Pil, entrate fiscali e, addirittura, i consumi di generi alimentari. Molti critici del fenomeno astensionista hanno obiettato che disertando le urne ci si abbandonerebbe all'altrui volontà, a partiti la cui matrice politica, peraltro, muta a seconda che la critica al non-voto provenga da un elettore di destra o sinistra. Ma la radice del malcontento sembra, a ben vedere, più profonda: "Buona parte delle astensioni" prosegue Mannheimer sul Corriere "sono dettate da un atteggiamento di grande interesse per la politica (come si rileva ad esempio dai numerosi messaggi da parte di astenuti giunti in queste ore ai vari blog nella rete), cui si accompagna però un'altrettanto sensibile disaffezione verso i suoi protagonisti, leader o partiti". Inchieste bipartisan e scandali assortiti, perciò, non fanno bene alla partecipazione democratica.
Una marea montante, quindi, quella del non-voto, destinata a vedere le proprie fila ingrossarsi a ogni tornata elettorale, specie se non cambierà l'approccio alla politica. Non ci sarebbe da rallegrarsene, se solo non si tentasse di minimizzare e ridicolizzare quello che è l'effetto e non la causa del problema. "Un cittadino su tre non è andato alle urne" scrive Massimo Fini su Il fatto quotidiano del 30 marzo "E fra coloro che ci sono andati una fetta cospicua appartiene agli apparati, ai clientes, ai favoriti di tutte le risme. Se si fa questa ulteriore tara, il 'voto libero' dato in buona fede, si riduce a ben poca cosa. A ciò si aggiunga che la stragrande maggioranza dei giovani [...] ha disertato le urne. Non per abulia ma perchè questo sistema, che penalizza ogni futuro, gli fa schifo. Cosa rimane quindi in mano ai partiti? Nulla, se non il loro potere abusivo".
Prendere coscienza di tale status quo sarebbe già un passo significativo nella direzione giusta. Ma lo stadio successivo, più complesso, è quello della riflessione sulle cause che hanno portato il distacco della politica dai cittadini, problema rispetto al quale l'astensionismo è solo una reazione. "Adam Smith" scrive Noam Chomsky su Internazionale del 12 marzo "sosteneva che 'gli artefici principali' della politica inglese del suo tempo, erano 'i mercanti e i proprietari delle manifatture', che proteggevano i loro interessi 'in modo particolare' anche se le conseguenze sugli altri, compreso il popolo inglese 'erano penose'. La teoria di Adam Smith è ancora valida, ma oggi gli 'artefici principali' sono le multinazionali e soprattutto le istituzioni finanziarie".
Il fatto che si possa percepire o sospettare che la politica non risponda al demos ma ad altri soggetti, oltre che, spesso, direttamente a se stessa in una spirale di autoreferenzialità preoccupante, è un elemento drammatico da analizzare a fondo, per riportare i cittadini ad avere fiducia non nel voto in sé, ma nella stessa Democrazia.

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