La Cina riscopre se stessa, avanza guardandosi indietro. Dopo decadi di oblio ideologico ritorna infatti in auge Kong FuZi, il saggio Confucio, filosofo cinese il cui pensiero diede origine ad un'intera cultura che influenzò costumi e storia di varie Nazioni asiatiche, il confucianesimo appunto. Prima osteggiato poi combattuto e cancellato dalla rivoluzione culturale maoista con il placet delle elites dell'epoca, ora risorge proprio nel momento in cui sembra tramontare l'Era della supremazia culturale occidentale, in profonda crisi assieme al suo modello di sviluppo economico e sociale.
"La recessione dimostra che gli Stati Uniti non possono più offrire al mondo una leadership adeguata", scrive Federico Rampini su Repubblica del 15 aprile riferendosi alle parole di Wang Xiaodong, uno degli autori del saggio La Cina scontenta, best-seller e autentico fenomeno editoriale, specialmente tra gli sponenti del ceto medio cinese. "Oggi l'ideologia su cui poggia il neo-espansionismo cinese non è più rivoluzionaria, sovversiva e antagonista. Al posto di Mao c'è Confucio, il filosofo vissuto dal 551 al 479 avanti Cristo, che la classe dirigente cinese rivaluta come il guardiano dell'ordine sociale e della stabilità". Le ragioni di questo mutamento sono da attribuire alla morte delle grandi ideologie novecentesche, il cui vuoto è stato colmato dalla riscoperta, da parte dei popoli, delle proprie tradizioni, ciò che Samuel Huntington, nel celebre e controverso libro Lo scontro delle civiltà, definì indigenizzazione delle culture:
"Indigenizzazione è stata la parola d'ordine in tutto il mondo non occidentale negli anni ottanta e novanta", scrive Huntington in un passaggio del suo saggio "La rinascita dell'Islam e la re-islamizzazione sono temi centrali nelle società musulmane. In India la tendenza prevalente è il rifiuto degli usi e costumi occidentali e l'induizzazione della politica e della società. In Asia orientale i governi promuovono il confucianesimo e i leader politici e intellettuali parlano di asianizzare i propri Paesi. A metà anni ottanta il Giappone fu ossessionato dal Nihonjinron, o teoria del Giappone e del giapponese. [...] Con la fine della Guerra Fredda la Russia è tornata a essere un Paese in bilico, con il riemergere del classico scontro tra occidentalisti e slavofili". L'indigenizzazione, inoltre, non pare essersi fermata negli anni novanta, considerato che, oltre alla già citata Cina con Confucio e all'avanzata in America latina di leader che fanno esplicito riferimento alle peculiarità culturali e storiche dei propri Stati, come Chavez e Morales, in Russia, per fare un nuovo esempio, il putinismo ha contribuito al rilancio del nazionalismo, anche in economia, e della religione cristiano-ortodossa, ora ben più seguita che in passato.
Già, le religioni. Le grandi vittime della prima metà del XX secolo, quando, come scrive ancora Huntington "le elites intellettuali hanno di norma creduto che la modernizzazione economica e sociale dovesse portare alla scomparsa della religione come elemento significativo dell'esistenza umana", si sono prese la propria rivincita, la Revanche de Dieu che, aggiunge l'autore nel suo saggio "ha significato il ritorno e il rinvigorimento delle religioni tradizionali delle rispettive comunità, nonchè l'attribuzione ad esse di nuovi significati". Un processo di relativizzazione politico-culturale quindi, avviatosi parallelamente alla sconfitta di quei grandi capisaldi ideologici che avevano caratterizzato il mondo, che porta l'occidente ora a perdere terreno laddove, prima, aveva una forte influenza, come in oriente.
"Ora la Cina ha acquistato nuova coscienza di sè" fa notare Rampini "e rimette in discussione la validità delle pretese occidentali. È una società segnata dal confucianesimo, dove il gruppo conta più dell'individuo, dove le relazioni sociali sono organiche, strutturate sull'obbedienza gerarchica e sul perseguimento di obiettivi collettivi. Questo tipo di società" aggiunge Rampini "va governata come una famiglia, con il rispetto dell'autorità paterna, e d'altra parte carica sul paterfamilias la responsabilità di garantire il benessere dei propri familiari". Niente più complessi di inferiorità, quindi, una nuova rivoluzione culturale è in atto da tempo e non solo nella Repubblica Popolare. L'attuale crisi economica, poi, unitamente alle difficoltà che l'occidente sta incontrando nell'esportare la democrazia, stanno spingendo verso ulteriori cambiamenti.
"Voi occidentali definite la Democrazia secondo il principio che ogni cittadino debba avere il diritto al voto" disse Zhang Weiwei al Marshall forum di Monaco di Baviera, in un passaggio citato dall'articolo di Repubblica "e nel suffragio universale diversi partiti devono competere per l'alternanza al governo. Fino ad oggi è impossibile trovare un solo caso di un Paese emergente che sia riuscito a modernizzarsi con successo dopo aver adottato questo modello di democrazia. Che cosa succederebbe oggi in Cina se adottassimo una democrazia del vostro tipo? Ammesso che il Paese non sprofondi nella guerra civile potremmo eleggere un governo di contadini, visto che questi sono la stragrande maggioranza della popolazione? Non ho nulla contro di loro" conclude Zhang "ma è chiaro che non sarebbero capaci di guidarci nella modernizzazione". Un progresso che non passa più nè dall'imposizione di modelli importati da altrove, nè dall'assenza di punti di riferimento riconducibili alla propria storia o cultura.
Paradossalmente nell'epoca della globalizzazione economica, che riserva dispiaceri a loro volta globali, si assiste alla localizzazione politica e storico-culturale. Il mondo di domani sembrerebbe destinato ad essere un pò più piccolo e antico, in un'idea di futuro come prosecuzione del passato, senza cesure. "Sarebbe quasi fanciullesco" fa osservare Fernand Braudel "pensare che la modernizzazione metta fine alla pluralità di culture storiche incarnate per secoli nelle grandi civiltà del pianeta. Al contrario" conclude "la modernizzazione rafforza tali culture e riduce il potere relativo dell'occidente. Sotto molti importanti aspetti, il mondo sta diventando più moderno e meno occidentale".
Sta ai leader mondiali in generale e occidentali in particolare, decidere ora se tale processo debba o meno sfociare in quello scontro di civiltà che nessuno auspica.
"La recessione dimostra che gli Stati Uniti non possono più offrire al mondo una leadership adeguata", scrive Federico Rampini su Repubblica del 15 aprile riferendosi alle parole di Wang Xiaodong, uno degli autori del saggio La Cina scontenta, best-seller e autentico fenomeno editoriale, specialmente tra gli sponenti del ceto medio cinese. "Oggi l'ideologia su cui poggia il neo-espansionismo cinese non è più rivoluzionaria, sovversiva e antagonista. Al posto di Mao c'è Confucio, il filosofo vissuto dal 551 al 479 avanti Cristo, che la classe dirigente cinese rivaluta come il guardiano dell'ordine sociale e della stabilità". Le ragioni di questo mutamento sono da attribuire alla morte delle grandi ideologie novecentesche, il cui vuoto è stato colmato dalla riscoperta, da parte dei popoli, delle proprie tradizioni, ciò che Samuel Huntington, nel celebre e controverso libro Lo scontro delle civiltà, definì indigenizzazione delle culture:
"Indigenizzazione è stata la parola d'ordine in tutto il mondo non occidentale negli anni ottanta e novanta", scrive Huntington in un passaggio del suo saggio "La rinascita dell'Islam e la re-islamizzazione sono temi centrali nelle società musulmane. In India la tendenza prevalente è il rifiuto degli usi e costumi occidentali e l'induizzazione della politica e della società. In Asia orientale i governi promuovono il confucianesimo e i leader politici e intellettuali parlano di asianizzare i propri Paesi. A metà anni ottanta il Giappone fu ossessionato dal Nihonjinron, o teoria del Giappone e del giapponese. [...] Con la fine della Guerra Fredda la Russia è tornata a essere un Paese in bilico, con il riemergere del classico scontro tra occidentalisti e slavofili". L'indigenizzazione, inoltre, non pare essersi fermata negli anni novanta, considerato che, oltre alla già citata Cina con Confucio e all'avanzata in America latina di leader che fanno esplicito riferimento alle peculiarità culturali e storiche dei propri Stati, come Chavez e Morales, in Russia, per fare un nuovo esempio, il putinismo ha contribuito al rilancio del nazionalismo, anche in economia, e della religione cristiano-ortodossa, ora ben più seguita che in passato.
Già, le religioni. Le grandi vittime della prima metà del XX secolo, quando, come scrive ancora Huntington "le elites intellettuali hanno di norma creduto che la modernizzazione economica e sociale dovesse portare alla scomparsa della religione come elemento significativo dell'esistenza umana", si sono prese la propria rivincita, la Revanche de Dieu che, aggiunge l'autore nel suo saggio "ha significato il ritorno e il rinvigorimento delle religioni tradizionali delle rispettive comunità, nonchè l'attribuzione ad esse di nuovi significati". Un processo di relativizzazione politico-culturale quindi, avviatosi parallelamente alla sconfitta di quei grandi capisaldi ideologici che avevano caratterizzato il mondo, che porta l'occidente ora a perdere terreno laddove, prima, aveva una forte influenza, come in oriente.
"Ora la Cina ha acquistato nuova coscienza di sè" fa notare Rampini "e rimette in discussione la validità delle pretese occidentali. È una società segnata dal confucianesimo, dove il gruppo conta più dell'individuo, dove le relazioni sociali sono organiche, strutturate sull'obbedienza gerarchica e sul perseguimento di obiettivi collettivi. Questo tipo di società" aggiunge Rampini "va governata come una famiglia, con il rispetto dell'autorità paterna, e d'altra parte carica sul paterfamilias la responsabilità di garantire il benessere dei propri familiari". Niente più complessi di inferiorità, quindi, una nuova rivoluzione culturale è in atto da tempo e non solo nella Repubblica Popolare. L'attuale crisi economica, poi, unitamente alle difficoltà che l'occidente sta incontrando nell'esportare la democrazia, stanno spingendo verso ulteriori cambiamenti.
"Voi occidentali definite la Democrazia secondo il principio che ogni cittadino debba avere il diritto al voto" disse Zhang Weiwei al Marshall forum di Monaco di Baviera, in un passaggio citato dall'articolo di Repubblica "e nel suffragio universale diversi partiti devono competere per l'alternanza al governo. Fino ad oggi è impossibile trovare un solo caso di un Paese emergente che sia riuscito a modernizzarsi con successo dopo aver adottato questo modello di democrazia. Che cosa succederebbe oggi in Cina se adottassimo una democrazia del vostro tipo? Ammesso che il Paese non sprofondi nella guerra civile potremmo eleggere un governo di contadini, visto che questi sono la stragrande maggioranza della popolazione? Non ho nulla contro di loro" conclude Zhang "ma è chiaro che non sarebbero capaci di guidarci nella modernizzazione". Un progresso che non passa più nè dall'imposizione di modelli importati da altrove, nè dall'assenza di punti di riferimento riconducibili alla propria storia o cultura.
Paradossalmente nell'epoca della globalizzazione economica, che riserva dispiaceri a loro volta globali, si assiste alla localizzazione politica e storico-culturale. Il mondo di domani sembrerebbe destinato ad essere un pò più piccolo e antico, in un'idea di futuro come prosecuzione del passato, senza cesure. "Sarebbe quasi fanciullesco" fa osservare Fernand Braudel "pensare che la modernizzazione metta fine alla pluralità di culture storiche incarnate per secoli nelle grandi civiltà del pianeta. Al contrario" conclude "la modernizzazione rafforza tali culture e riduce il potere relativo dell'occidente. Sotto molti importanti aspetti, il mondo sta diventando più moderno e meno occidentale".
Sta ai leader mondiali in generale e occidentali in particolare, decidere ora se tale processo debba o meno sfociare in quello scontro di civiltà che nessuno auspica.
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