I cambiamenti climatici in atto, figli di problematiche ambientali sempre più pressanti, stanno imponendo alle nazioni di tutto il mondo una riflessione profonda sul futuro stesso delle nostre società, prima ancora che su quello della fredda economia. Molti Paesi hanno perciò scelto di cambiare strategie di sviluppo abbandonando la via del mero sfruttamento delle risorse, per affrontare la sfida delle energie rinnovabili.
In Europa, un autentico modello di intraprendenza in materia di rispetto per l'ambiente è l'Austria, che nel 2006 ha ricavato il 63% della sua elettricità da fonti rinnovabili a fronte di una media europea che si attesta al 14,65%, ma non dobbiamo dimenticare i Paesi scandinavi storicamente virtuosi. Molti non sapranno tuttavia, che nella lista dei Paesi più impegnati nello sviluppo sostenibile c'è il Portogallo, una delle aree più economicamente arretrate del continente, fino a oggi.
"Nel 2006 il Portogallo ha ricavato da fonti rinnovabili il 30% dell'energia elettrica consumata" scrive Peter Wise sul Financial Times, articolo ripreso dalla rivista Internazionale del 22 maggio "L'obiettivo per il 2010 è arrivare al 39%". Un obiettivo non proibitivo considerati gli sforzi che sono stati fatti dai lusitani per sviluppare eolico, fotovoltaico, idroelettrico e biogas. 120 turbine eoliche nella regione settentrionale dell'Alto Minho in pochi anni hanno trasformato quell'area depressa in una realtà all'avanguardia della green revolution. "Oggi l'Alto Minho" prosegue Wise "è sede della più grande centrale eolica sulla terraferma d'Europa, e partecipa a un piano per trasformare uno dei paesi più poveri del continente in un leader mondiale dell'energia rinnovabile".
Il Portogallo è privo di risorse energetiche primarie ma dispone di tre grandi ricchezze: il vento, il sole e l'oceano. Un potenziale immenso per anni rimasto inespresso. Negli ultimi tempi, però, tutto è cambiato, anche le ambizioni. "Entro il 2020" aggiunge Internazionale "più del 60% dell'elettricità e circa il 31% dell'energia prodotta nel paese, arriverà da fonti rinnovabili. L'obiettivo dell'Ue nello stesso arco di tempo è del 20. [...] gli Usa arriveranno a ricavare il 12% della loro energia da fonti pulite quando il Portogallo sarà già oltre il 50". Non solo eolico, però. Andando a sud-est di Lisbona, infatti, troviamo la cittadina di Amareleja dove si registrano le temperature più alte del Paese, un luogo in cui il sole e onnipresente e dove 2.520 pannelli solari della grandezza di un appartamento si nutrono di luce. Senza trascurare, infine, la forza dell'oceano che dona ai lusitani l'ulteriore opportunità di produrre energia pulita dalle onde.
Green economy, tuttavia, non vuol dire solo rispetto per l'ambiente e per il futuro dei nostri figli, ma, nell'immediato, soprattutto posti di lavoro in tempi di crisi mondiale. "Negli ultimi 4 anni il Portogallo" si legge su Internazionale "ha creato 10mila posti di lavoro nel settore dell'energia pulita e altri 22 mila dovrebbero aggiungersi nei prossimi 12 anni, grazie a un investimento programmato di 14 miliardi di euro". Puntare sulle rinnovabili paga, quindi, e ad incassare sono i cittadini delle aree interessate dagli investimenti, come quelli dell'Alto Minho riconvertito all'eolico, le cui amministrazioni locali hanno visto raddoppiare i proventi degli affitti che le aziende energetiche corrispondono per i terreni utilizzati, ricavi che gli stessi enti pubblici investono nel territorio sotto forma di restauri, nuove infrastrutture e opere per la collettività. "In una regione sperduta" conclude Wise "ancora imbevuta dello spirito di un passato antico, le turbine che si stagliano nella nebbia sulle cime delle montagne dell'Alto Minho sono simboli di futuro".
E l'Italia? Purtroppo lo stivale resta indietro in questo settore, avendo prodotto nel 2006 solo il 14,82% dell'elettricità consumata da fonti rinnovabili. nel 2010 tale percentuale dovrebbe salire al 25, ma non sarà così, e poco consola che tali numeri rientrino nella media europea. In più il Belpaese ha fatto una scelta ben precisa, quella nucleare, siglando, come sappiamo, l'accordo con la Francia per la costruzione di 4 centrali nei prossimi anni. Siamo agli antipodi rispetto al Portogallo e all'idea di green revolution. Una decisione controversa, che molti giudicano "di retroguardia" come, l'economista americano e premio Nobel Jeremy Rifkin. Risolvere la crisi ambientale ed energetica con il nucleare, infatti, è "Come curare malattie nuovissime con la penicillina" dice Rifkin in un'intervista rilasciata a La Repubblica nel giugno 2008, ben prima, quindi, del patto Berlusconi-Sarkozy.
"Oggi sono in funzione nel mondo 439 centrali nucleari" prosegue Rifkin "e producono circa il 5% dell'energia totale. Nei prossimi 20 anni molte di queste centrali andranno rimpiazzate. E nessuno dei top manager del settore energetico crede che lo saranno in una misura maggiore della metà. Ma anche se lo fossero tutte si tratterebbe di un risparmio del 5%. Ora, per avere un qualche impatto nel ridurre il riscaldamento del pianeta, si dovrebbe ridurre del 20% il Co2, un risultato che certo non può venire da qui". Il nucleare quindi non riduce le emissioni e non risolve il problema dello sfruttamento delle risorse, dato che l'uranio, come il petrolio, prima o poi comincerà a scarseggiare. Poi c'è il problema scorie, difficilissime da smaltire: "Gli Stati Uniti hanno straordinari scienziati" dice ancora il Nobel "e hanno investito 8 miliardi di dollari in 18 anni per stoccare i residui all'interno delle montagne Yucca dove avrebbero dovuto restare al sicuro per quasi 10 mila anni. Bene, hanno già cominciato a contaminare l'area nonostante i calcoli, i fondi e i super-ingegneri. Davvero l'Italia crede di poter far meglio di noi? L'esperienza di Napoli non autorizza troppo ottimismo. E questa volta i rifiuti sarebbero nucleari, con conseguenze inimmaginabili".
Ricapitolando: niente riduzione delle emissioni, niente risparmio energetico, incubo ecoballe radioattive. Ma non è finita, rimane la questione acqua: "Non c'è abbastanza acqua nel mondo per gestire impianti nucleari. Temo che non sia noto a tutti che circa il 40% dell'acqua potabile francese serve a raffreddare i reattori. L'estate di alcuni anni fa, quando molti anziani morirono per il caldo, uno dei danni collaterali che passarono sotto silenzio fu che scarseggiò l'acqua per raffreddare gli impianti. Come conseguenza fu ridotta l'erogazione di energia elettrica. E morirono ancora più anziani per mancanza di aria condizionata".
La soluzione, quindi, non può che essere ciò che Rifkin chiama "La terza rivoluzione industriale", un sistema in cui ognuno autoproduca energia per scambiarla con gli altri attraverso reti intelligenti. "Bisogna cominciare a costruire abitazioni che abbiano al loro interno le tecnologie per produrre energie rinnovabili, come il fotovoltaico. Non è un'opzione, ma un obbligo comunitario. Poi serviranno batterie a idrogeno per immagazzinare questa energia. E una rete intelligente per distribuirla". Un cammino difficile che, però, altri Paesi hanno deciso di percorrere. Una via che anche l'Italia, volendolo, potrebbe intraprendere. Conclude Rifkin: " Voi (l'Italia) siete messi meglio di tutti: avete il sole dappertutto, il vento in molte località, in Toscana c'è anche il geotermico, in Trentino si possono sfruttare le biomasse. Eppure, con tutto questo ben di Dio, siete indietro rispetto a Germania, Scandinavia e Spagna per quel che riguarda le rinnovabili".
Potremmo, quindi, dovremmo, ma non lo facciamo. Abbiamo deciso diversamente rispetto al Portogallo e ad altre Nazioni virtuose e coraggiose, rinunciando in modo miope e autolesionistico a porre le basi per un futuro sostenibile, davvero. I nostri figli ringrazieranno.
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