sabato 6 febbraio 2010

TUTTO IL MONDO È PIGS

Europa meridionale (con i conti) in rosso (en. wikipedia.org)



Portogallo, Italia, Grecia, Spagna. Pigs, considerando solo le iniziali di questi Paesi dell'Europa meridionale. Un acronimo coniato alcuni anni fa da economisti britannici e statunitensi che va a formare una parola inglese dal significato inequivocabile: pigs, porci, maiali. I suddetti suini sarebbero le Nazioni mediterranee dell'Unione europea con i bilanci storicamente e cronicamente in rosso. Politica fiscale deficitaria, debito pubblico tanto grande da costituire un pericolo per la stessa stabilità dell'eurozona e prospettive plumbee di sviluppo. Questo il ritratto impietoso dei pigs dipinto dagli esperti di mezzo mondo.
È la Grecia a dare le maggiori preoccupazioni, al punto che recentemente la commissione europea ha deciso di mettere Atene sotto semi-tutela per un debito pubblico di 300 miliardi di euro. Una situazione drammatica, comune anche al Portogallo, altro imputato del Club Med, ulteriore ironico appellativo utilizzato per descrivere i pigs. L'economia lusitana è infatti caratterizzata da un rapporto debito/pil pari al 76,6%. Altissimo per un Paese di 10 milioni di abitanti. Senza dimenticare la Spagna, entrata in recessione nel 2008, con un debito pubblico schizzato negli ultimi 2 anni dal 36,2% al 55,2% del pil e destinato, secondo Madrid, a raggiungere il 74,3% nel 2012. Un tracollo. Politiche da lacrime e sangue sembrano l'unica via d'uscita per tamponare le falle, sperando nella ripresa. E l'Italia non è certo da meno, anche se per ora non è sotto i riflettori nella stessa misura di ellenici, portoghesi e spagnoli. Il debito pubblico del Belpaese si attesta infatti al 115% sul Pil, con la cifra esorbitante di 1.800 miliardi di euro. Sei volte quello della Grecia, 40 punti percentuali in più rispetto al rapporto debito/pil del Portogallo e 60 in più rispetto a quello degli spagnoli. D'accordo, la Grecia ha 11 milioni di abitanti, il Portogallo 10 e noi 60, e la nostra economia non è certo quella dei competitors del sud Europa, ma le cifre sono ugualmente preoccupanti.
Ma non sono solo i pigs a risentire gravemente della crisi. Gli Usa hanno perso altri 20 mila occupati a gennaio, a fronte di un aumento atteso di 5 mila unità e il tasso di disoccupazione supera il 10% con picchi del 15 in alcuni Stati. Intanto le banche hanno ridotto il credito lasciando in difficoltà milioni di persone e tante piccole e medie aziende destinate a fallire, lasciando altri disoccupati sulla strada. "Obama vuole recuperare i fondi concessi ai grandi istituti per creare banche comunitarie che offrano prestiti su scala locale" scrive Manuel Castells su Internazionale del 5 febbraio "Vuole introdurre incentivi fiscali per le aziende che assumono e riattivare gli investimenti per le infrastrutture. Ma la vera difficoltà [...] sta nel dover remare contro la corrente di interessi profondamente radicati nel sistema. In campo economico" scrive ancora Castells "Wall Street ha sempre dettato le sue politiche tutelando prima di tutto i propri interessi".
In grave difficoltà anche il Giappone, dove la crisi ha fatto scendere i salari del 3,9% nel solo 2009, il terzo anno di fila con segno negativo. Per non parlare dell'Irlanda, ex tigre celtica sull'orlo del default e, soprattutto, del Regno Unito, su cui circolano notizie da tregenda. Dal Telegraph del 20 gennaio 2009, articolo di Lain Martin ripreso dal blog Crisis.blogosfere.it: "Il Paese guarda il precipizio. Siamo a rischio della peggiore umiliazione, con Londra che diventa una Reykjavik sul Tamigi e l'Inghilterra che finisce sott'acqua. Grazie all'arroganza alla presuntuosa incompetenza seriale del governo e di un gruppo di banchieri, la possibilità di una bancarotta nazionale non è irrealistica". L'Independent del giorno successivo con Sean O'Grady, rincara: "Uno dei principali investitori mondiali dà voce alle preoccupazioni del mercato. Jim Rogers, cofondatore della Quantum con George Soros, dichiara a Bloomberg: 'Vi consiglio urgentemente di vendere tutte le sterline che avete. È finita. Odio dirlo, ma non metterei più denaro nel Regno Unito'". E per concludere degnamente, il Guardian del 19 gennaio: "In privato" scrive Patrick Wintour "qualcosa di molto somigliante alla disperazione sta cominciando a serpeggiare nel governo. Dopo aver visto lo scivolone delle banche, un Ministro del Gabinetto inglese non scherzava quando ha detto: 'Le banche sono fottute, noi siamo fottuti, il Paese è fottuto'". Quando si dice aplomb britannico...
E mentre il Fondo Monetario Internazionale, per il prossimo biennio, parla di "ripresa molle" nell'eurozona, "con tanta disoccupazione e consumi limitati", l'Ucraina, altro Paese dilaniato dalla crisi e in bancarotta, con l'elezione del filorusso Viktor Yanukovich alla presidenza della Repubblica, saluta la rivoluzione arancione del 2004 e con essa l'Europa e la Nato, tornando tra le braccia di Putin.
I pigs sono in buona compagnia a ben vedere, ma non è il caso di bearsi delle comuni disgrazie. Bisogna piuttosto affrontare i problemi alla radice riformando il sistema economico finanziario nel suo complesso. "Non solo sistema politico," scrive ancora Castells su Internazionale "ma anche sistema di istituzioni e di interessi che si intrecciano perchè tutto sia sotto controllo, indipendentemente da chi sia al governo". Con buona pace della Democrazia rappresentativa.