sabato 16 febbraio 2008

KOSOVO INDIPENDENTE: LA FINE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE



Il Premier kosovaro Hashim Thaci ha proclamato unilateralmente l'indipendenza di Pristina dalla Serbia. L'UE è divisa e i timori sono molteplici, soprattutto da parte di chi conosce bene il problema. Il Generale Fabio Mini è stato per due anni, nel 2002-2003, comandante delle truppe Nato in Kosovo e il suo giudizio è severo: "Questa proclamazione fa saltare il diritto internazionale fondato sulla sovranità degli Stati. Uno scempio voluto dagli Usa, che in questo diritto non credono e l'hanno dimostrato in Iraq. Sotto quest'aspetto, il Kosovo è l'altra faccia dell'Iraq. Se all'Onu passa il riconoscimento, dopo domattina saranno tutti autorizzati a fare lo stesso: l'Irlanda del Nord, i baschi, i ceceni, i catalani...". Per non parlare delle regioni russofone della Georgia filo-occidentale, l'Abkhazia e l'Ossezia del Sud, per cui il Presidente Vladimir Putin, leader di un Paese per tradizione amico della Serbia, ha caldeggiato un processo simile a quello kosovaro in caso di secessione di Pristina, con inevitabili ripercussioni nei rapporti già tesi con gli Usa.

Si rischia quindi di far riesplodere conflitti sopiti in ogni parte d'Europa, dalla Corsica alla Transilvania passando per la Bosnia e tutto per riconoscere uno Stato che tale non è. "...Un Paese che sta diventando la pattumiera dei rifiuti di mezzo Mondo, dove il 40% della popolazione guadagna 2 euro al mese, il Pil è il più basso d'Europa, l'analfabetismo è 10 volte sopra la media, la disoccupazione è al 70% e le uniche fonti di guadagno, per pochissimi, sono le prostitute moldave, le armi, le auto rubate e l'80% dell'eroina europea che passa di qui" sottolinea Francesco Battistini dalle colonne del Corriere della Sera. A chi conviene l'indipendenza del Kosovo, allora? lo dice con chiarezza il Generale Mini: "Ai kosovari. Non parlo della gente comune che non ha più fiducia: alle elezioni ha votato il 45% e Thaci ha preso solo il 32. No, conviene a chi comanda: allo stesso Thaci che fa affari col petrolio, a Bexhet Pacolli che ha bisogno d'un buco dove ficcare i soldi del suo mezzo impero, a Ramush Haradinaj che è sotto processo all'Aja [...]. Il nuovo Stato conviene solo ai clan. Un porto franco per il denaro che arriva dall'est. Montecarlo, Cipro, Madeira non sono più affidabili". Un' altra grande incognita, inoltre, è costituita dalle possibili reazioni violente dei serbi kosovari, maggioranza nella zona di Mitrovica, nord della regione. Scrive ancora Battistini sul Corriere: "[...]A Gracanica hanno ribattezzato una via col nome di Radko Mladic, il massacratore di musulmani e i nuovi quartieri si chiamano Belgrado 2" .

Una polveriera insomma e qualcuno, a Bruxelles e Washington, dovrà assumersi la responsabilità di ciò che potrà accadere nei Balcani e in Europa. Tra poco.



Kosovska Mitrovica - Dicembre 2007. Si manifesta per un Kosovo serbo

martedì 12 febbraio 2008

SCOPRENDO SE STESSI NELLE TERRE SELVAGGE



«Chris è morto da vivo. Avendo vissuto, vive dentro di noi». La sceneggiatura del film into the wild si conclude così, con le parole del regista Sean Penn. Un film profondo ed esistenziale, uno struggente inno alla vita che, proprio per questo, non cade nel nichilismo tipico delle opere "anti-sistema". In questa pellicola, tratta da un libro di John Krakauer, si narra la vita di Chris McCandless, un ragazzo americano poco più che ventenne che nel 1990, conseguita la laurea con lode all’Emory University di Atlanta, rinuncia a una vita agiata e abbandona tutto e tutti per intraprendere un viaggio tra Nuovo Messico, Arizona e Sud Dakota alla ricerca di se stesso sino a misurarsi due anni più tardi con la natura selvaggia dell’Alaska. Non era facile raccontare la storia senza cadere nello stereotipo del borghese annoiato o, peggio, dell’ecologista militante. "Sean ha fatto un film che lascerà un segno sugli spettatori", ha dichiarato Krakauer, insieme al quale Penn ha perlustrato luoghi e ricostruito tassello dopo tassello il “viaggio” di Chris, "perché non propone facili soluzioni e non è didascalico". Cuore del film è il viaggio, fisico e spirituale, del ragazzo che, nell'asprezza della Natura, ricerca il significato della vita spogliato delle astrazioni create dalla civiltà dei consumi. "Non ho voluto farne un martire o un eroe", ha ribadito Penn, "la sua è stata una fuga ma anche una ricerca della libertà assoluta. Fuga dalla banalità, da tutto il troppo che portiamo con noi e con cui ci siamo abituati a vivere, fuga dalla stupidità che ci circonda. La nostra società ha creato una vera dipendenza dal confort. Fuga, ma anche inseguimento: dell’autenticità, della purezza, dell’essenzialità". E non a caso il regista dedica il film ai giovani "che oggi sono troppo spesso schiavi del benessere e delle cose materiali. Anche senza affrontare situazioni estreme e rischiose si può cercare di sentire il proprio cuore battere più in fretta. È importante che ci si provi almeno quando davanti si ha tutta la vita". Un capolavoro assoluto.