lunedì 4 agosto 2025

GROTTA DEL CERVO, VIAGGIO PRIMORDIALE NEL CUORE DELLA MARSICA


A Pietrasecca, piccolo, delizioso borgo arroccato su un aspro costone nel verde d'Abruzzo, è possibile varcare la soglia di un regno sotterraneo, dove la terra si mostra nuda e il tempo si dissolve in un eterno sussurro di roccia e acqua. Qui, tra le pieghe di un paesaggio scolpito dalle mani dei millenni, si respira un silenzio vivo, un dialogo antico tra la natura e chi sa ascoltarla. Le grotte sono un invito a smarrirsi in una dimensione altra, dove ogni stalattite e ogni riflesso umido custodisce frammenti di un passato remoto.

Grotta del Cervo, Riserva Naturale delle Grotte di Pietrasecca, Carsoli (AQ)
"L'Arcangelo Michele"

Il viaggio inizia lungo sentieri che si snodano tra querce e castagni, dove l’aria si fa fresca e il profumo di terra bagnata si mescola a quello delle erbe selvatiche. Siamo nella Riserva Naturale Speciale delle Grotte di Pietrasecca che si svelano con discrezione, come a proteggere un segreto prezioso. Due sono le mete principali: la Grotta del Cervo, aperta ai visitatori, e la Grotta Ovito, regno degli speleologi più audaci. È nella Grotta del Cervo che ci si immerge in un’esperienza che è tanto fisica quanto interiore.

Grotte di Pietrasecca, un viaggio primordiale nella storia geologica della Marsica

L’ingresso è un arco di roccia grezza, una porta che separa due mondi. Nessuna luce fissa ad accoglierti, nessuna passerella a rassicurarti: solo un breve tratto battuto all’entrata, poi il buio ti avvolge come un mantello antico. Le guide, appassionate e preparate, sono i cantastorie di questo mondo sotterraneo. I loro racconti, ricchi di dettagli geologici e aneddoti storici, trasformano ogni passo in una scoperta. Il fascio delle torce elettriche sui caschi, unica luce in questo regno selvaggio, rivela un universo di meraviglie. Stalattiti e stalagmiti si ergono come sculture di un tempo senza nome. L’acqua, creatrice paziente di questi capolavori eterni continua a plasmare le proprie opere, goccia dopo goccia nella quiete dell'ombra.
 

Camminare nella Grotta del Cervo è un’immersione in una natura primordiale. A differenza di altre grotte, anch'esse meravigliose ma addomesticate da luci e sentieri artificiali, qui tutto è intatto, selvaggio. Il terreno è irregolare, a tratti scivoloso, e le guide, con la loro attenzione costante, insegnano a muoversi con rispetto, come ospiti in una cattedrale viva. Il suono delle gocce che cadono, amplificato dal silenzio, è un canto antico, un metronomo di millenni. Le pareti, levigate dall’acqua, raccontano di ere in cui queste cavità ospitavano cervi preistorici e, forse, uomini in cerca di riparo o in adorazione di potenti divinità. Le formazioni carsiche, con nomi come “l'Arcangelo Michele” o “Il Drago”, prendono vita grazie alla voce delle guide che evocano leggende di giganti e spiriti sotterranei.
 
Grotta del Cervo, conrezioni irregolari alla luce delle torce
 
Il buio è il vero protagonista di Pietrasecca. Quel buio denso, spezzato solo dal debole bagliore delle torce, ti costringe a vedere con occhi nuovi, a sentire con il corpo intero. È un buio che non opprime, ma libera. La voce delle guide racconta di come la grotta sia stata scoperta nel 1984 durante un’esplorazione fortuita, e di come oggi sia protetta per preservarne la purezza. La loro dedizione traspare in ogni parola, rendendo l’escursione un rito, un ritorno alle origini. Riemergere dalla grotta è come tornare ad un mondo in cui tutto è evidente, illuminato, senza segreti nella sua bellezza. Il paesaggio si dispiega in tutto il suo fascino rasserenante: colline boscose, muretti di pietra, un silenzio che sa di pastori e contadini, di vite dure di un passato autentico e lontano, intessute di fatica e poesia. Pietrasecca, con la sua identità distinta, sembra un custode di segreti, e le guide, con il loro amore per questo luogo, ne sono i narratori.
 

Le Grotte di Pietrasecca sono un invito a perdersi, a lasciare le luci del mondo moderno e a ritrovare un legame profondo con la terra, guidati da chi ne conosce l’anima. Sono un’esperienza che scuote e incanta, che lascia dentro un’eco di pietra e oscurità, ma anche di autenticità, verità. È l'anima del mondo di cui anche l'uomo fa parte, plasmata dagli elementi e dalle ere. Riabbracciarla ogni tanto fa bene.


lunedì 16 giugno 2025

CASCATE NEL CUORE DELLA MONTAGNA, LE GROTTE DI STIFFE


Nel cuore del Parco Naturale Regionale Sirente-Velino, a pochi chilometri dall’Aquila, le Grotte di Stiffe si svelano come una delle meraviglie sotterranee più affascinanti dell’Italia centrale. Situate nella frazione di Stiffe, nel comune di San Demetrio ne’ Vestini, queste grotte carsiche sono un capolavoro scolpito dall’acqua, un invito a esplorare le profondità della terra abruzzese. Esplorare questo sito lascia un’impronta indelebile, un’esperienza che intreccia la potenza della natura con il fascino di un passato remoto.
 
La Sala della Cascata
 
Raggiungere le grotte è già un viaggio nel viaggio. La strada statale 261 Subequana si snoda tra le colline della conca aquilana, dove il paesaggio si alterna tra la maestosità del Gran Sasso e la rigogliosa vegetazione che incornicia il piccolo borgo di Stiffe. Non lontano, il borgo di Fossa, aggrappato a uno sperone roccioso e segnato dai lavori di ricostruzione post-sisma, custodisce tesori che arricchiscono l’esperienza: la duecentesca chiesa di Santa Maria ad Cryptas e l’attigua necropoli, testimonianze di un Abruzzo antico e spirituale da conoscere con l'ausilio di guide appassionate e preparate come quelle dell'associazione "Semi sotto la pietra".
 
Salendo nella Sala della Cascata

L’ingresso alle grotte, incastonato in una parete rocciosa a circa 700 metri di altitudine, è una spaccatura spettacolare, quasi una porta verso un mondo altro. Qui, il Rio Gamberale, il fiume sotterraneo che ha plasmato le grotte per millenni, accoglie i visitatori con il suo fragore, un canto incessante che accompagna l’intera esplorazione.
 
La splendida Sala delle Cocrezioni
 
La visita guidata, della durata di circa un’ora, si sviluppa lungo un percorso di 700 metri, attrezzato con passerelle e scalinate che rendono l’esperienza accessibile, pur richiedendo scarpe antiscivolo per l’umidità del terreno e un abbigliamento adeguato per ripararsi dal rigido abbraccio dei circa 10°C di temperatura interna costante. Ci si può così abbandonare ad un viaggio al centro delle montagne d'Abruzzo, tra stalattiti e stalagmiti.
 
Altezze vertiginose tra ombre e luce

Le Grotte di Stiffe sono una risorgenza attiva, un fenomeno geologico raro in cui il fiume, dopo un percorso sotterraneo, riemerge in superficie. Le acque, originate dal sovrastante Altopiano delle Rocche, creano rapide, laghetti e cascate, con una portata che varia stagionalmente: in primavera il flusso è impetuoso, mentre in autunno assume un carattere più raccolto.
 
Concrezioni nelle grotte
 
Il percorso si articola in diverse sale dalla bellezza ipnotica, ciascuna con un’identità unica. La Sala del Silenzio, dove il fiume si placa per gran parte dell’anno, offre un’atmosfera quasi sacra, con il gocciolio delle stalattiti che rompe la quiete. La Sala della Cascata, con un salto d’acqua di circa 20 metri, è uno spettacolo di potenza e bellezza, dove il fragore si mescola alla vista di pareti levigate dall’erosione. La Sala delle Concrezioni è un trionfo di forme: stalattiti trasparenti come cristalli e stalagmiti che si ergono come sculture naturali. Per culminare nella Sala dell’Ultima Cascata, aperta al pubblico nel 2007, dove un salto di oltre 25 metri si getta in un laghetto profondo, in un ambiente vasto che amplifica l’eco dell’acqua. Appena fuori dall'ingresso infine sono ancora visibili i resti di una centrale idroelettrica del 1907, distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale.
 
Acque trasparenti custodite nelle profondità della montagna
 
A completare l’esperienza, a pochi minuti d'auto dalle grotte c'è come detto il paesino di Fossa che offre la possibilità di visitare la duecentesca Santa Maria ad Cryptas con il suo esterno gotico e il fascino mistico degli affreschi medievali benedettini e toscani, che sussurrano storie di fede. Senza dimenticare la vicina necropoli, con le sue tombe testimonianza del ricco e variegato patrimonio culturale, artistico e spirituale abruzzese.
 
Esplorando le grotte ci si avventura in un mondo altro
 
Con oltre 40.000 visitatori l’anno, le Grotte di Stiffe sono una meta straordinaria per ogni amante della natura e del bello. Un'occasione unica per immergersi nel dialogo tra l’uomo e l'eternità, un viaggio nel tempo dove l’acqua, scultrice paziente, racconta una storia millenaria. Un luogo da scoprire, che incanta e sorprende, rivelando l’anima più profonda dell’Abruzzo.


sabato 19 aprile 2025

A GROTTAFERRATA L'ULTIMO BALUARDO BIZANTINO IN OCCIDENTE

 

Stele attica nel museo dell'abbazia: sec. V a.c. Un giovane intento a leggere con una pantera sotto di sé

A pochi passi da Roma, dove i Colli Albani si ergono verdeggianti, Grottaferrata custodisce un tesoro di spiritualità e cultura: l’Abbazia di San Nilo e il suo museo, un luogo dove l’Oriente bizantino incontra l’Occidente in un dialogo che sfida i secoli. Tra vigneti e uliveti, respirando aria profumata di terra e di storia, la strada sinuosa porta in vista di questo luogo unico. Quando il monastero appare, con le sue mura merlate e il campanile romanico svettante, il tempo sembra rallentare, invitandoti al raccoglimento ed alla riflessione.
 
L'iconostasi barocca dell'Abbazia di San Nilo a Grottaferrata
 
L’Abbazia di San Nilo, fondata nel 1004 da San Nilo di Rossano, un monaco calabrese di origine greca, è un unicum nel panorama monastico: l’ultimo baluardo dei monasteri bizantini che un tempo punteggiavano l’Italia meridionale, rimasto fedele a Roma pur conservando il rito bizantino-greco. Entrare nella Chiesa di Santa Maria è come varcare una soglia tra due mondi.
 
Decorazioni a grottesche all'interno del museo dell'abbazia di S.Nilo
 
La facciata, con il suo rosone che cattura la luce del mattino, parla un linguaggio romanico, ma l’interno ti avvolge in un’atmosfera mistica: l’iconostasi barocca, progettata da Gian Lorenzo Bernini e realizzata da Antonio Giorgetti, troneggia con l’icona della Theotokos, la Madre di Dio, che ti guarda con occhi vivi di energia spirituale.
 
Pavimento cosmatesco (XIII sec.) all'interno della chiesa abbaziale
 
I mosaici della Pentecoste sull’arco trionfale, risalenti al XII secolo, brillano di un oro che sa di cielo, mentre gli affreschi della Cappella Farnesiana, opera del Domenichino, narrano le storie di San Nilo con una grazia che commuove. Il pavimento in marmo policromo, un intreccio cosmatesco del XIII secolo, riflette la luce che filtra dalle vetrate, e il profumo d’incenso aleggia nell’aria, accompagnando il canto dei monaci che, ancora oggi, celebrano in greco antico.
 
Chiostro dell'abbazia di S. Nilo, sede del museo archeologico

 
Ma l’Abbazia non è solo un luogo di culto: è un scrigno di memorie. Accanto alla chiesa, il Museo di San Nilo, ospitato nel Palazzo del Commendatario, ti accoglie con la promessa di un viaggio nel tempo. Qui, ogni oggetto racconta una storia. La stele attica del V secolo a.C., con un giovane seduto e una pantera, ti guarda con la serenità di chi ha attraversato millenni. I sarcofagi dell’ipogeo delle Ghirlande, rinvenuti nei pressi delle catacombe Ad Decimum il cui ingresso scorre accanto quasi nascosto lungo la via che porta a Grottaferrata, parlano di un amore materno che sfida la morte: quello di Ebuzia Quarta per il figlio Tito Carvilio Gemello, sepolti insieme in un commovente, eterno abbraccio.
 
Sarcofagi di Ebuzia Quarta e del figlio Tito Carvilio Gemello, rinvenuti nei pressi della catacomba Ad Decimum
 
Camminando tra le sale, ti colpisce il silenzio, rotto solo dal suono tenue dei propri passi e dal canto lontano di un uccello che si leva dal cortile. È un silenzio che invita alla riflessione, che ti fa sentire parte di qualcosa di più grande: un ponte tra epoche, tra culture, tra il visibile e l’invisibile. Dalla finestra, lo sguardo si perde sui colli, dove il verde si mescola ai colori degli edifici della placida cittadina, e il cuore si riempie di una pace profonda, come se il tempo, qui, avesse deciso di fermarsi per lasciarti ascoltare la voce del mondo.
 
Ciborio cosmatesco del XIII secolo. Colonne tortili e arco ogivale
 
Lasciare l’Abbazia di San Nilo lascia un velo di malinconia nell'animo, quella che si prova quando ci si allontana da qualcosa di piacevole. Porti con te il profumo dell’incenso, l’eco di un canto antico, il rifulgere di un mosaico. È un luogo che regala sensazioni che non ci si stancherebbe di provare. E mentre ti allontani, con il sole che accende i colli di sfumature dorate, sai che tornerai, proprio perché sai che vorrai ritrovare ancora quelle atmosfere, ne sentirai la mancanza come accade per i bei sogni che non vogliono svanire.
 
Annunciazione, sportelli lignei XIII secolo

 

martedì 1 aprile 2025

LA DIMORA DA FIABA DI CESARE MATTEI BRILLA SULL'APPENNINO BOLOGNESE

 
Il Cortile dei Leoni della Rocchetta Mattei, ispirato a quello ben più ampio dell'Alhambra di Granada

I monti a sud della città felsinea si svelano come un antico scrigno, dove ogni scorcio sembra custodire un segreto. Dai fitti boschi, ricchi di ogni sfumatura che la natura sa creare, che scorrono lungo la strada punteggiata da antichi borghi spunta su una collina la Rocchetta Mattei, un castello fiabesco che narra storie di un tempo lontano, sospeso.
 
La Cappella, realizzata con materiali locali quali gesso, cemento, mattoni e legno. Con i caratteristici archi, che ricordano delle palme, ispirati a quelli della Mezquita di Cordova.
 
L’aria è fresca e profumata e il cielo si apre come una tela dove le nuvole disegnano arabeschi che ricordano gli intricati decori del castello che già attende. Le sue torri svettano presentando al visitatore l'incredibile misto di stili che caratterizza il maniero: moresco, gotico, orientale. Unico, come se il conte Cesare Mattei, il suo eccentrico ideatore, avesse voluto fondere in un’unica visione tutti i sogni che aveva raccolto nei suoi viaggi e nei suoi studi.
 
Dalla Cappella si sale al Giardino pensile dal quale si ha una visuale unica sugli edifici della Rocchetta
 
Varcare l’ingresso in stile moresco è come attraversare un portale verso un’altra dimensione. L’imponente scalone in pietra arenaria accoglie con grande solennità, mentre la luce filtra dalle vetrate colorate dipingendo riflessi che danzano sulle pareti. Le stanze si susseguono come capitoli di un libro, ognuna con un carattere proprio: archi ogivali si alternano a decorazioni orientali, mosaici scintillanti si specchiano in pavimenti che raccontano storie di maestria artigianale. È un luogo che non si lascia afferrare facilmente: ogni angolo nasconde un dettaglio, un simbolo, un enigma che invita a fermarsi, a osservare, a riflettere. 
 
Ingresso moresco al castello. La scalinata in pietra arenaria che sale fino al cortile principale è decorata con numerose statue.
 
Ma la Rocchetta non è solo un’opera d’arte. È anche un luogo che parla al cuore. Da ogni finestra lo sguardo si perde sull’Appennino, un mare di colline che si stende all’infinito, interrotto solo dal profilo di qualche antico campanile. Il silenzio qui è profondo, rotto solo dal canto di un uccello o dal frusciare delle foglie mosse dal vento. È un silenzio che non opprime, ma consola, come un abbraccio della natura che ti ricorda quanto sia prezioso fermarsi a respirare, a sentire, a essere. In questo scenario la Rocchetta sembra quasi un miraggio, un’oasi di bellezza e mistero che testimonia di un’epoca in cui gli uomini osavano sognare.
 
La torre dell'ingresso moresco. La finestra ha come balaustra la copia in marmo del pulpito "pomposiano" conservato al Louvre di Parigi.
 
La storia di Cesare Mattei è quella di un personaggio da romanzo. Nato nel 1809, dedicò la sua vita alla costruzione del castello e alla diffusione dell'Elettromeopatia, medicina alternativa da lui ideata che attirò l’attenzione di intellettuali come Fëdor Dostoevskij, che citò il conte nei “Fratelli Karamazov”. Ma oltre la fama, ciò che colpisce è la visione: la Rocchetta non è solo un edificio, è un manifesto, un luogo dove arte, scienza e spiritualità si fondono in un’armonia che sfida il tempo e mira a trasmettere desiderio di dare corpo all'eternità.
 
Sala dei Novanta, la vetrata con l'immagine di Cesare Mattei e la sua data di nascita
 
Tornando verso la pianura al termine del viaggio nel sogno di Mattei, mentre il sole tramonta sull’Appennino disegnando profili onirici, un senso di meraviglia e di pace accompagna il visitatore. Ed  egli sa che un pezzo di quella visione resterà nell'animo come un’eco di bellezza e poesia.
 
Usciti dalla Cappella si sale al Giardino pensile dal quale si ha una visuale unica sugli edifici del castello